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Il dramma del proprio talento

Haikyuu ed il talento

Quando pensiamo al miglior ticket d’ingresso verso la magica Isola della Vita Facile, quello con su scritto “Talento” rientra sicuramente tra le prime scelte. E come poter mai anche solo tentare di affermare il contrario, d’altronde è innegabile che chi non ha avuto la fortuna di possedere un tale dono divino sarà eternamente costretto a rimboccarsi le maniche mille volte tanto per ottenere, forse, lo stesso risultato di chi invece lo possiede. È la dura regola che vige su questo mondo. Una regola fondata sul criterio più fastidioso di tutti, quello del caso. Te ce l’hai? Fantastico! Te non ce l’hai? Pazienza, ti tocca lavorare sodo.

Non so voi lettori, ma chi scrive ce l’ha davvero impiantata nel cervello quest’idea qui. E pensandoci, è chiaro che a rispondere di questa situazione è l’abnorme quantità di storie basate sulla faticosa e graduale crescita personale che tutti quanti abbiamo assorbito sin dalla tenera età, e non soltanto con i cartoni. Per carità, fico lo stereotipo del genio disinteressato, ma non c’è proprio paragone con l’impostazione che fa partire qualcuno dal basso.

E non soltanto dal punto di vista della drammaticità e della possibilità di immedesimazione che è capace di generare, ma anche e sopratutto dell’incredibile potenziale di sviluppo che l’idea di migliorare gradualmente permette di allestire. Lo vediamo con la marea di videogiochi che si sviluppano attorno al concetto di sbloccare nuove abilità progressivamente, e lo vediamo anche negli anime osservando l’enorme successo ottenuto da tutte quelle storie basate sul ragazzo comune che diventa fortissimo.

Però per quanto l’impostazione di questo testo possa indurvi a crederlo, la verità è che qui nessuno cercherà di smentire quest’idea. Chi possiede una predisposizione naturale verso un certo tipo di attività può davvero risparmiarsi mille fatiche, non ci sono storie. Però occhio a rigettare le proprie ire o la propria invidia su chi è apparentemente più fortunato di noi, perché magari non lo è veramente. Perché, obiettivamente, ci siamo mai degnati di dare un serio sguardo alla figura del portento? Menomale che c’è Haikyuu!!.

Talento

Il talento: arma a doppio taglio

Kageyama Tobio è un tipo agile e dinamico. È acuto, tatticamente intelligente, caratterialmente forte e ben più che discreto in ogni ruolo. Già soltanto queste qualità sarebbero più che sufficienti a definirlo un giocatore eccezionale, ma Kageyama è innanzitutto un alzatore di altissimo livello.

Sarà per l’assoluta freddezza con cui gestisce anche la più critica delle situazioni, per la precisione chirurgica con cui serve i suoi compagni, per la sua incredibile visione periferica che gli permette di farsi un’idea chiara di ciò che succede attorno a lui, o magari per tutte e tre. Fatto sta che di Kageyama ce n’è soltanto uno, e se si vuol vincere bisogna averlo dalla parte giusta del campo.

Insomma, questo qui è un genio della pallavolo, di quelli che li guardi e pensi di voler lasciare. Ed effettivamente si, i suoi compagni delle medie quasi abbandonavano per davvero, ma non di certo perché estasiati dalla sua bravura. La storia però la conosciamo già, quello che ci interessa è che il nostro setter viene presentato in maniera tutt’altro che trionfale.

Ecco cosa colpisce sin dall’inizio: vedere il suo più grande pregio passare in secondo piano. Anzi, vederlo venire completamente oscurato dalla natura dittatoriale e irascibile del personaggio. Quel talento che dovrebbe farlo risplendere più di chiunque altro fa invece emergere la peggiore delle caratteristiche che un giocatore dovrebbe possedere in uno sport di squadra: l’egoismo. Si crea quindi una dualità sia simbolica, dove il soprannome “Re del Campo” assume un’accezione positiva e negativa, che pratica, dove la convivenza dei due aspetti appena menzionati diventa essenzialmente imprescindibile.

E la ragione alla base di ciò è presto detta. Per sua stessa natura, la pallavolo è uno sport nel quale i singoli giocatori possono incidere sino ad un certo punto sul risultato finale. Ecco perché, ed è importante precisarlo, l’atteggiamento con il quale Kageyama ci viene presentato non è scaturito direttamente dalle sue incredibili doti. Piuttosto, esso è legato alla frustrazione causata dalla sensazione di impotenza che il giocatore prova.

È chiaro che in circostanze in cui si può fare tutto da soli il livello delle proprie abilità si rivela un fattore positivo, in grado per davvero di fare la differenza. Quando però non si riesce a perseguire un obbiettivo facilmente raggiungibile da soli a causa degli altri; quando si è costretti a confrontarsi con il fatto che indipendentemente dalla misura del proprio contributo, questo da solo non servirà a nulla, allora la questione cambia parecchio.

Non soltanto negli anime

Faremmo tutti bene a pensarci due volte, quindi, prima di disperarci perché non siamo naturalmente predisposti a fare ciò che vorremmo. Come appena mostrato ci sono casi in cui, più che un vantaggio, il talento può rivelarsi un peso, un fardello. E no, la scusa del “chi se ne frega degli sport” non regge, perché la vicenda di Kageyama si basa sul rapporto del singolo all’interno di un contesto, di un gruppo, e badate bene che questo presupposto è estremamente frequente anche al di fuori del contesto sportivo.

Quando si tratta di trovare il proprio posto nel mondo, di ritagliarsi uno spazio all’interno della società, la complessità dell’ambiente che ci circonda finirà senza dubbio per farci schiantare contro innumerevoli scogli. Ma dato che non possiamo pretendere di cambiare tutti gli altri né pensare di poter manovrare i fili di dinamiche sin troppo lontane dal nostro controllo, l’unica scelta onesta che possiamo compiere come individui razionali per continuare ad avanzare è quella di lavorare su noi stessi.

Nel panorama MOBA, tanto per fare un qualche parallelismo, questa è l’unica mentalità che ti può far raggiungere risultati eccellenti. “Siccome ad ogni partita finirò in un team di giocatori diversi, ognuno dei quali aventi punti di forza e debolezza, piuttosto che concentrarmi sugli errori degli altri dovrei concentrarmi sui miei”. È questa la teoria, l’unica possibile ancora di salvezza dall’esasperazione.

Se però il gruppo con il quale dobbiamo avere a che fare è sempre lo stesso, allora il discorso è decisamente diverso. Che sia col lavoro, con lo studio, con lo sport o magari con mille altre cose: prima o poi siamo tutti costretti a doverci inserire in un contesto. E non solo, quello è il primo passo. Dopo viene forse la parte più difficile, quella di convivere con gli altri.

A differenza dei nostri “incapaci” compagni di squadra dei MOBA, questi qui non è che semplicemente prendono e se ne vanno. Certo, potrebbero farlo, proprio come potremmo farlo noi, ma scappare in eterno non è mai la soluzione. E allora come si fa? Qual è la nostra risposta, la risposta di Kageyama? Torniamo su Haikyuu!!.

Dopo l’esperienza del ritiro giovanile nazionale, Kageyama è costretto a confrontarsi con la differenza di livello che lo separa dai suoi compagni, ora più evidente che mai. L’alzatore si è velocemente abituato a giocare in una squadra di alto livello, e quindi immaginatevi il trauma di ritornare alla Karasuno.

Basta una sola amichevole, basta il muro impenetrabile della Dateko, ed eccolo lì: il “Re Dittatore del Campo” ritorna in tutto il suo splendore. Non importa quanto perfette siano le sue alzate, quanto vasta sia la sua cognizione dello spazio che lo circonda, ai suoi occhi nessuno dei suoi compagni sembra dimostrarsi in grado di poter fare qualcosa per vincere la partita, a differenza sua.

Questione di cooperazione

La verità, però, è che così come lui è costretto a dover sopportare i problemi e gli errori degli altri, questi ultimi devono fare lo stesso con lui. Capire ciò vuol dire rendersi conto che in quel campo da 18×9 vige un ecosistema composto da individui diversi e peculiari. Possedere del talento, essere più bravi degli altri in qualcosa, non vuol dire essere perfetti, ne tanto meno concede il diritto di ergersi su un qualche piedistallo.

Così come Hinata sbaglia a schiacciare, così come il nostro collega commette un errore di distrazione, così come il nostro compagno di classe dimentica di fare la sua parte del lavoro di gruppo, anche noi ad un certo punto nella nostra vita ci siamo dovuti confrontare con il fatto di essere, per una ragione o per l’altra, un peso per chi circonda. 

Questo fenomeno è assolutamente naturale, non c’è via di fuga. Per questo bisogna accettarlo, perché è solo una volta fatto che si può riuscire a creare un ambiente in cui la critica diventa un qualcosa di positivo. Io critico te, tu critichi me. Ma lo facciamo, talentuoso o non talentuoso, dalla stessa altezza, nell’interesse comune.

Talento

Liberando le spalle del suo asso dall’enorme peso del passato che lo schiacciava, la Karasuno ha potuto fare un ulteriore passo avanti verso la compattezza ideale. Del soprannome “Re del campo” è rimasta soltanto l’accezione positiva, e di Re se ne sono aggiunti tanti altri. L’ambiente di genuina collaborazione e autocritica è percepibile più che mai, e diavolo se non sarà utile nelle battaglie future.
Adesso però tocca a noi.

Leggi anche: Arte è un anime femminista?

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Matteo Mellino

Matteo Mellino

Matteo Mellino, sul web Mr. Gozaemon. Tormenta continuamente amici e familiari parlando dell'argomento che più lo affascina e al quale dedica tutto il suo tempo libero: l'animazione giapponese. Più pigro di Spike, testardo quanto Naruto ma sempre positivo come Goku.

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