Doom Eternal è uscito da poco ma la critica e i giocatori hanno già rilasciato il loro verdetto: questo nuovo capitolo è un instant classic. Noi l’abbiamo analizzato nei suoi pregi (e pochi difetti) in questo articolo ed è chiaro che non ci si possa distaccare da questo giudizio. Il nuovo capitolo di una delle saghe videoludiche più giocate di sempre è la sua stessa consacrazione. Episodio dopo episodio, dopo aver innovato e rinnovato il mondo dei First Person Shooter, Doom è davvero diventato eterno.
1993, Doom
La saga avviata nel 1993 dalle mani di John Romero, John Carmack, lo scrittore Tom Hall e il compositore Robert Prince vide subito una ricezione fenomenale da parte dei giocatori. Dopo l’avventura di “B.J.” Blazkowicz in Wolfenstein 3D, uscito un anno prima e sviluppato sempre da id Software, il primo capitolo di Doom venne distribuito direttamente dalla casa produttrice come shareware da nove livelli. Una decisione che oggi potrebbe sembrare estremamente bizzarra, dato che le demo sono ormai diventate quasi obsolete, ma allora ritenuta necessaria dato il presunto disinteresse della stampa di settore.
La scelta di Jay Wilbur, al tempo l’unico membro del settore marketing di id, di vendere il gioco direttamente agli interessati si mostrò più che azzeccata. Comprando soltanto uno spazio pubblicitario nei magazine di videogiochi e diffondendo le copie shareware riuscì ad assicurarsi 15-20 milioni di giocatori in due anni. Intel, Microsoft e diverse università iniziarono a proibire l’utilizzo di Doom negli uffici e sale studio. Dai sondaggi di quel periodo il titolo veniva considerato un “fenomeno religioso”, un “modo per fuggire dalla noia del lavoro”, o ancora una “dipendenza senza precedenti”.
Il debutto
Migliaia di giocatori iniziarono a lamentarsi del rilascio posticipato a dicembre e per questo gli sviluppatori dedicarono 30 ore consecutive a terminare il titolo, pubblicandolo il 10 dicembre 1993. Quella sera i server dell’University of Wisconsin-Parkside crasharono quando id Software caricò Doom e diecimila persone cercarono di scaricarlo allo stesso momento, costringendo i tecnici a kickare ogni utente per lasciar lavorare la software house. Altre università si aggiunsero al ban del titolo e gli amministratori delle reti locali ebbero moltissimi problemi a controllare il fenomeno, anche perché le partite andavano a intasare il traffico disponibile. Nel ’95 Doom divenne il programma più installato di sempre nei computer, con più installazioni di Windows 95, a tal punto da costringere Bill Gates a fare uno spot pubblicitario “comico” a tema Doom.
La storia di Doomguy
Doomguy (tra l’altro discendente di Blazkowicz) riuscì nel tentativo di conquistare le persone smembrando demoni nel tentativo di scacciarli dalle basi della UAC situate su Marte. La critica divenne matta per il titolo, proclamandolo per la grafica e il level design, date le risorse limitate di quel tempo, più che per la debole trama e per il gameplay stesso. Effettivamente la lore dietro Doom per i primi capitoli era pressoché inesistente, complice anche il rifiuto da parte di Carmack & Co di appoggiare l’idea di Tom Hall di una Doom Bible che, originariamente, doveva fungere da base per la trama del gioco.
Suddiviso in tre capitoli, Doom vede il protagonista combattere contro orde di uomini posseduti e demoni provenienti dall’Inferno stesso. Per raggiungerlo e debellare la minaccia, Doomguy dovrà visitare Phobos e Deimos, le due lune di Marte, raggiungere l’Inferno e sconfiggere lo Spider Mastermind, mente dietro l’invasione, per poi tornare sulla Terra poiché “un essere umano impossibile da contenere negli inferi”.
L’innovazione tecnologica
Insomma, si capisce che la trama non è così interessante. Diversa rispetto gli standard di altri titoli contemporanei, ma di sicuro non eccellente. Ciò che è eccellente però è ciò che sta “nascosto”, ovvero come è stato sviluppato. Doom infatti non solo è uno dei primi FPS con grafica 3D ma ha anche un codice sorgente estremamente accessibile, organizzato in file WAD (Where’s All Data) che contengono sia i livelli che il comparto grafico. Una decisione presa da Carmack per permettere ai fan della serie di modificare e creare mappe, strutture, suoni e molti altri elementi. Il risultato? La comparsa di una miriade di “Doom clones”, ossia una serie di videogiochi ispirati nel design e gameplay al titolo id. Tra questi si trovano Heretic, Hexen, Marine Doom, Star Wars: Dark Forces e, secondo alcuni, anche System Shock.
Dal ’94 a oggi molte testate hanno stabilito che Doom è uno dei giochi più importanti e controversi di sempre. Importante, come detto prima, per tutte le innovazioni portate sul mercato. Controverso per il suo tema satanico e violento che, secondo la stampa mainstream, avrebbe contribuito addirittura al massacro della Columbine del 1999. Un’idea però dimenticata con il passare del tempo e che forse ha solo reso il gioco ancora più famoso. Ancora oggi la community è attiva e si vedono ancora nuove mod in arrivo, facendo sembrare Doom ’93 l’eterno padre degli FPS.
1994, Doom II: Hell on Earth
Dopo soltanto un anno l’id Software decise di pubblicare il secondo capitolo della serie, liberandosi però del designer Tom Hall per dar spazio a Sandy Petersen, American McGee e Shawn Green. Doom II sviluppa la trama riprendendo da dove si è arrivati l’anno prima: al ritorno dal viaggio tra Marte e l’Inferno, Doomguy scoprirà che anche la Terra è stata invasa e ha pure ucciso Daisy, il suo amato coniglietto. Infuriato come John Wick, egli tornerà a sfidare i demoni in labirinti e ambienti ancora più grandi, per 30 livelli infine arrivando nuovamente all’Inferno per sconfiggere Baphomet, l’Icon of Sin, e devastare l’Inferno chiudendo il portale per la Terra.
Nessuna modifica sostanziale nel motore utilizzato, sempre id Tech 1, ma un lavoro molto più attento e complesso nel level design. Sfruttando sempre più risorse dai computer, Doom II portò livelli non lineari e maggiormente esplorabili, premiando i giocatori per il tempo passato in ogni singola mappa. I mostri e le armi aumentarono, i powerup presenti pure e i tre episodi divennero un grande episodio singolo, al contrario dei tre episodi separati del primo capitolo. In aggiunta, il multiplayer divenne ancora più divertente e giocabile grazie all’implementazione e sviluppo delle funzionalità LAN e online.
Doom II quindi in sé non portò così tante novità, ma la critica e i giocatori lo apprezzarono comunque: gioco per PC più venduto negli USA nel ’94, oltre $100 milioni nel mondo tra ’94 e ’99. Un altro successo che consacrò Doom rendendolo ancor più un instant classic.
1996, Final Doom
Questo forse è il capitolo “pecora nera” della saga. Sviluppato da TeamTNT, team di sviluppatori di mappe per i primi due Doom, non è altro che un grande map pack composto da due differenti espansioni per Doom II: TNT:Evilution e The Plutonia Experiment. Essi, entrambi formati da 32 livelli non canon, usano tutto ciò che c’era già nei primi due Doom ma aumentando leggermente la difficoltà.
La trama? Veramente banale: in TNT:Evilution la UAC continua a lavorare sui portali interdimensionali, questa volta aprendone uno su Giove ma riuscendo a contenere inizialmente l’invasione di demoni. Dopo qualche mese, però, giunse un’astronave fatta di ossa, carne, pietra e acciaio, annientando tutti tranne Doomguy che ora deve nuovamente sconfiggere Baphomet. The Plutonia Experiment invece vede una nuova gestione della UAC, la quale ora lavora sul Quantum Accelerator per fermare ogni altra invasione. Il progetto, segreto, finì con un’altra invasione ancor più grande, richiedendo l’intervento di Doomguy (che era in vacanza) che riuscirà a sconfiggere il Gatekeeper per chiudere ancora una volta le porte dell’Inferno.
Niente di nuovo e niente d’interessante, nemmeno sul lato dello sviluppo. Un “capitolo” accettato dalla critica ma considerato decisamente inferiore rispetto ai due precedenti. GameSpot definì la versione per PC uno “spreco di soldi”, mentre PlayStation Magazine gli diede un sonoro 9/10 nonostante i 34 livelli in meno rispetto alla controparte MS-DOS.
1997, Doom 64
Inizialmente chiamato The Absolution e altrimenti detto dai fan “il capitolo dimenticato”, Doom 64 non è altro che la versione per Nintendo 64 della saga. Nel ’97 praticamente ogni piattaforma aveva una sua versione di Doom, tranne la console giapponese. Midway Games (e non id Software, che si dedicò soltanto a osservare dall’esterno) dunque si dedicò allo sviluppo di questo nuovo capitolo apportando poche, lievi modifiche e sfruttando la potenza del N64.
Per gli interessati, la trama questa volta vede Doomguy tornare in uno stabilimento UAC con livelli di radiazione estremamente elevati. Qui dovrà farsi strada per 32 livelli sconfiggendo altre orde di demoni che, in realtà, avevano pianificato questa invasione proprio per intrappolarlo agli inferi ed eliminarlo una volta per tutte. Un tentativo fallito che portò soltanto allo scontro tra Doomguy e Mother Demon, vinto ovviamente dal nostro beniamino che deciderà infine di rimanere all’Inferno per continuare a uccidere ogni demone e proteggere la Terra.
Che novità ci sono?
Se nel contenuto e gameplay rimane fedele al classico stile “pseudolineare” di Doom, ciò che parti della critica hanno definito veramente interessante sono il comparto grafico, il level design e la musica. Secondo loro (ma non tutti) la grafica di Doom 64 era la migliore di sempre nella saga, mentre i livelli erano ancora più complessi e variegati, richiedendo delle abilità notevoli per concluderlo, e la colonna sonora rendeva perfettamente l’atmosfera intensa. Altre voci però consideravano questo capitolo “un altro port qualsiasi”, senza nessun elemento innovativo.
Doom 64 s’è quindi consolidato il posto di “Doom più sottovalutato di sempre”, tra due spole della critica indecise sul dargli un voto alto o basso, con GameSpot che gli rifila un 4.8/10 e GamePro che lo premia con un 5/5 in ogni categoria (grafica, suono, controlli, fun factor). Ora che è stato rilasciato assieme a Doom Eternal come pre-order bonus sarà possibile riscoprirlo su PC, console e anche Nintendo Switch.
2004, Doom 3
Sono passati tre anni dall’ultimo capitolo del franchise quando John Carmack, game engine designer di id Software, scrisse al pubblico che la compagnia stava lavorando su un remake di Doom basato su una loro tecnologia next-gen. Una dichiarazione che subito manifestò il malcontento o i dubbi dei fan più accaniti. Carmack però era convinto di questa scelta dopo aver osservato il successo di Return to Castle Wolfenstein, reboot di Wolfenstein 3D estremamente apprezzato dalla critica nella trama, nel gameplay e nel lato multiplayer, che portò poi id Software e Splash Damage a sviluppare Wolfenstein: Enemy Territory, spinoff esclusivamente multiplayer ancora oggi molto giocato e amato.
Molti dipendenti volevano allo stesso modo un remake e addirittura avvertirono Carmack: o si sviluppa il remake o ci licenziamo. Da qui la decisione nel primo 2000 di avviare lo sviluppo, dopo aver terminato il lavoro su Quake III: Arena. Con una prima demo mostrata all’E3 2002, Doom 3 vinse ben cinque premi della manifestazione zittendo ogni critica negativa ed evidenziando le potenzialità del progetto, anche grazie al lato musicale curato dall’ex batterista dei Nine Inch Tails, Chris Vrenna, e Clint Walsh.
Quando la storia e l’atmosfera diventano gli elementi più importanti
Ciò che rese Doom 3 interessante agli occhi degli esperti fu il settore tecnico, ovvero id Tech 4, il successore del motore grafico alla base di Quake III e Wolfenstein:ET. Le sue features principali erano le seguenti: illuminazione e ombreggiatura unificate, animazioni complesse, illuminazione per pixel dinamica e interfacce grafiche in-game. Anziché calcolare o renderizzare le luci durante il caricamento, esse venivano realizzate in tempo reale anche su oggetti non statici come demoni o macchine. Inoltre, id Tech 4 permise a id Software di aumentare l’interattività permettendo al giocatore di interagire con gli oggetti, dotati di fisica realistica, e computer in-game nei quali si poteva anche “navigare”. Patrick Duffy, GUI designer di Doom 3, scrisse oltre 500mila linee di script e generò più di 25mila immagini per display e computer situati su Marte.
Questo gettò le fondamenta per permettere agli sviluppatori di concentrarsi su un elemento finora snobbato: la storia. Se fino a Doom 64 ci si concentrava soltanto sullo smembrare demoni “in tutti i luoghi e in tutti i laghi”, ora Doom 3 sfruttava a pieno la nuova tecnologia per impostare una trama cupa, horror a tutti gli effetti. Doomguy in questo capitolo potrà interagire con molti NPC per comprendere l’obiettivo del livello, informazioni chiave e ottenere oggetti necessari per andare avanti. Dotato di dieci armi, tra cui la BFG 9000 e l’immancabile motosega, l’anonimo marine noto ormai a tutti dovrà sfidare orde di demoni e zombie anche nelle ombre che, come si vedrà, sono l’elemento che caratterizza maggiormente il gioco.
Una base per il futuro
Il senso di ansia, angoscia, paura e minaccia causato dall’ambientazione poi saranno base per altri titoli come FEAR. L’unico modo per combattere queste sensazioni sarà (fino alla BFG Edition del 2012) usare la torcia anziché un’arma, rendendosi ancor più esposti a ogni attacco mentre si cammina tra corpi mutilati e lunghe strisce di sangue. A questo si aggiungeranno messaggi radio, urla, passi, macchinari rumorosi, respiri affannati e versi demoniaci, tutti nell’intento di spaventare il giocatore mentre esplora la mappa. Un’attività, questa, estremamente necessaria per trovare i PDA (personal data assistant) che permetteranno di accedere a certe aree off-limits, assieme a e-mail e video che spiegheranno ulteriormente la storia.
La trama
A proposito, la sinossi è la seguente: è il 2145 e la UAC è diventata una multinazionale dalle finanze pressoché illimitate. Come nei capitoli precedenti, essa ha una base su Marte dove però si sono verificati vari incidenti misteriosi. Elliott Swann, membro del direttivo della UAC, assieme al suo bodyguard e Doomguy si recherà a Mars City proprio per indagare al riguardo. L’incontro col direttore dei laboratori marziani, Dr. Malcolm Betruger, permetterà di capire che quest’ultimo ha avviato degli esperimenti con il teletrasporto, i quali causeranno in quel momento un terremoto che aprirà le porte dell’Inferno. Doomguy dovrà nuovamente affrontare la minaccia, abbattendo il Cyberdemon e causando la fine dell’invasione demoniaca.
Una storia che ricalca quella degli ormai classici titoli della decade precedente, ma sviluppata in una maniera tale da coinvolgere il giocatore nell’atmosfera surreale e spaventosa caratteristica di Doom 3. Il videogioco di casa id poi vedrà anche una versione remastered chiamata BFG Edition nel 2012, poi giunta su Android nel 2015 e su Switch, PS4 e Xbox One nel 2019. Un capitolo che dopo sedici anni non ha ancora stancato nessuno ed è anche chiaro il perché: in un FPS non si era ancora vista un’ambientazione simile, grazie a tutto il lavoro grafico e di lore alle spalle. Matthew J. Costello, scrittore di Doom 3, portò il nome anche nel mondo dei libri con Worlds on Fire del 2008 e Maelstrom del 2009, ricevendo pareri positivi grazie allo stile fantascientifico-horror non troppo pesante.
Il pensiero della critica
Anche Doom 3 ricevette ottimi giudizi: PC Gamer descrisse il comparto grafico “senza difetti”, affermando che questo remake ha fatto decisamente tornare in auge la saga. Altre testate criticarono leggermente l’AI e il gameplay, ammettendo che comunque non minavano eccessivamente l’esperienza di gioco. Un successo commerciale che divenne, nel 2007, il titolo di maggior successo di id Software. Un altro Doom determinato a rimanere eterno.
2016, Doom
Dopo il successo assoluto di Doom 3, John Carmack e id Software annunciarono al QuakeCon Doom 4, il nuovo capitolo della serie che avrebbe dovuto vedere Doomguy nella Terra alle prese con altri demoni, abbandonando però l’aspetto horror del predecessore. Basato su id Tech 5, motore usato poi anche per Rage, The Evil Within e Wolfenstein: The New Order, avrebbe dovuto rinnovare ulteriormente il mondo degli FPS specialmente sul lato multiplayer. Passato un anno, però, Doom 4 sembrava essere ancora nel pieno dello sviluppo. Con l’acquisizione di id Software da parte di ZeniMax Media, già all’interno di Bethesda Softworks, Doom 4 vide una pausa abbastanza lunga per dar spazio alla creazione di Rage, altro titolo poi caduto in sordina dati i giudizi mediocri della critica.
Al QuakeCon 2012 il team annunciò che il nuovo capitolo doveva essere un reboot, ma nel 2013 Carmack lasciò id Software per concentrarsi sul suo lavoro con Oculus VR. Una sentenza chiara che suscitò ulteriore curiosità nei giornalisti e fan del franchise. Doom era bloccato nel “development hell” a causa di problemi interni e della mole di lavoro eccessiva. Fonti interne dichiararono a Kotaku e altre testate online che la quantità di cinematics e scripts era stata portata all’estremo, rimanendo però mediocre e caotica. Secondo altri sviluppatori l’intenzione era di voler “dipingere l’arrivo dell’Inferno sulla Terra”, ma si rivelò fallimentare.
Bisogna cambiare atteggiamento
Id Software però era decisa a lavorare su Doom, non voleva abbandonare quella saga che aveva reso l’azienda celebre e apprezzata da tutti. Per questo chiamarono prima lo scrittore Graham Joyce e poi, dopo la morte di quest’ultimo, Adam Gascoine. Assieme a lui giunse Tiago Sousa, ex ingegnere Crytek, per lavorare su id Tech 6. Da qui il lavoro riprese per portare un trailer all’E3 2014 e una demo all’E3 2015. Una mossa che sembrò comunque un azzardo dato il successo di Call of Duty e Battlefield, altri franchise FPS considerati ormai capisaldi del mercato videoludico. La concorrenza era spietata e il fiume in piena sembrava ancora essere pronto a travolgere Doom, portandolo davvero all’Inferno.
Lore e musica salvano Doom
L’azienda lavorò sodo per garantire un’esperienza fluida dal punto di vista grafico, frenetica e divertente al giocatore. Per assicurarsi questi elementi venne chiamato in causa anche Mick Gordon, compositore per altri titoli come Destroy All Humans! 2, Need for Speed, Wolfenstein: The New Order e Killer Instinct. Inizialmente Doom non doveva avere una colonna sonora heavy metal, ma nel tentativo di modernizzare i suoni ispirandosi ai capitoli precedenti, immaginando un mondo tecnologico corrotto dal male, Gordon finì per realizzare un ibrido di elettronica e metal usando anche chitarre a nove corde e aggiungendo easter eggs come la scritta 666 via steganografia. Un mix nato forse per scherzo, diventato infine il vero motivo per cui Doom riuscì a tornare in auge.
Una storia che convince…
La storia alla base di Doom è un altro elemento da non sottovalutare. Questa volta ci si trova nel 2149, sempre in una base marziana della UAC gestita dal Dr. Samuel Hayden, un corpo androide con il cervello della controparte umana, morta per cancro. Nella ricerca e nel ricavare l’Argent Energy dall’Inferno, egli troverà un sarcofago con all’interno il Doom Slayer, imprigionato dai demoni spaventati dal suo potere. Olivia Pierce, collega di Hayden, deciderà però di fare un patto con questi aprendo il portale all’Inferno in cambio di potere.
Nell’allarme generale Hayden deciderà di aprire il sarcofago, lasciando il Doom Slayer a piede libero pur di uccidere Pierce. Egli tornerà anche all’Inferno per un breve lasso di tempo, scoprendo il suo passato e quello delle Night Sentinels, un ordine di cavalieri sacri che sconfisse i demoni ad Argent D’Nur. Infine, il Doom Slayer sconfiggerà ancora lo Spider Mastermind, non altro che la Pierce trasformata in mostro dai demoni stessi.
…ma non nella beta
Arrivato il 2016 il gioco era stato pubblicizzato come “estremamente violento, sanguinoso”, ma la beta non aveva soddisfatto la critica e i giocatori. Dopo il rilascio ufficiale, però, mentre il multiplayer non aveva convinto abbastanza, il lato singleplayer aveva reso tutti entusiasti. La frenesia del titolo caratterizzata dal grande numero di demoni e dalla colonna sonora mozzafiato, intervallata da ottime sezioni di lieve platforming ed esplorazione, aveva fatto ricredere tutti su Doom ancora una volta. In questo caso a salvare e re-innovare il franchise era stato Mick Gordon e la sua abilità nel comporre una colonna sonora amata da ogni giocatore e non.
La lore di questo capitolo lo rese ancor più apprezzato agli hardcore fan della serie. Con questo soft reboot infatti id Software si è permessa di parlare non tanto della storia del videogioco, ma della storia del protagonista che fino a questo momento ha avuto soltanto la possibilità di mostrare le sue abilità in guerra. Questo Doom ha fatto qualcosa che nel 2016 pochi titoli FPS si sono concessi: approfondire la singola storia del protagonista in una campagna altrettanto approfondita nell’insieme. Un pacchetto “tutto compreso” che ha deluso pochissimi giocatori, attirando più neofiti nel mondo di un titolo così storico.
2020, Doom Eternal
Dopo il lancio di Doom 2016 gli sviluppatori si sono trovati di fronte a una grande sfida: come rendere il prossimo Doom ancora migliore? I fan avevano chiaramente detto la loro: “ci piace ammassare cadaveri di demoni e riempire le nostre orecchie di musica heavy metal, ne vogliamo ancora”. Detto brevemente e citando Ryback, feed me more. La fame cresceva con la stessa rapidità con cui il Doom Slayer camminava per Marte alla ricerca di altri mostri da uccidere e Hugo Martin e Marty Stratton, direttori del videogioco, sapevano di dover fare qualcosa.
Il pubblico online chiedeva dei DLC per la campagna, mentre gli sviluppatori pensavano alla loro voglia di creare un sequel. Due opzioni opposte, poi in parte entrambe realizzate. Doom 2016 ha visto la creazione di 3 DLC per il multiplayer per cercare di tenerlo in vita, mentre Stratton affermava:
“Sappiamo di voler fare un sequel. Durante la fase di sviluppo abbiamo visto una storia svilupparsi arricchendo il gameplay. Sembra una cosa buona e giusta. Abbiamo capito dove abbiamo sbagliato in questo capitolo (Doom 2016, ndr), ora miglioreremo per il futuro.”
Con la crescita nel numero dei membri dello staff il team di Doom era pronto all’azione, anche perché il titolo Doom Eternal era già nella mente e nella bocca di molti sviluppatori interni, dunque praticamente certo. In poco tempo si aveva già una base per il futuro, ma mancava ancora qualcosa. Da un sondaggio interno risultò che tutti avevano la stessa idea: mantenere la stessa violenza ad alta velocità e le Glory Kills, ma aggiungere qualcosa. Cosa? Nel creare il trailer per il QuakeCon 2018 risultò palese la mancanza di una vera e propria difficoltà. Stratton stesso affermò che “si poteva finire il gioco velocemente e come se niente fosse, ciò non è una bella cosa”. Il Doom Slayer era troppo forte.
Un’analisi al microscopio
Il loop di Doom caratterizzato da “esplorare, prendere oggetti, disintegrare demoni” intervallato da brevi studi di lore doveva essere rivisto in ogni minimo dettaglio. Nell’analisi dell’ultimo capitolo del franchise risultò particolarmente evidente un problema: i demoni non erano pericolosi. Esistevano delle strategie (counters) attuabili facilmente e abusabili, così da finire il gioco in fretta. Pian piano dunque gli sviluppatori si dedicarono a un bilanciamento dell’arsenale del Doom Slayer, obbligandolo a usare ogni arma in situazioni diverse, per recuperare punti vita, armor o munizioni. Altra idea poi resa realtà: lasciare i punti deboli dei demoni, ma aumentarne la quantità. In Doom Eternal serviva una strategia ancor più approfondita, complessa, abilità non solo nella mira ma anche nella gestione del proprio comparto armi.
Come se non bastasse, per dare un effetto variegato al nuovo titolo venne presa la decisione di rendere il mondo ancora più grande, ancora più interessante storicamente parlando, ancora più appagante. Tra sequenze di platforming più difficili rispetto a Doom 2016 e premi come i 1Up stile Super Mario, Doom Eternal sembrava essere ancor più immersivo e in grado di soddisfare il giocatore. Per aiutare i neofiti è stata creata una modalità pseudo-tutorial una volta acquisito un nuovo pezzo dell’equipaggiamento. Insomma, tanti piccoli accorgimenti meccanici per rendere Eternal migliore.
Il level design
Ogni livello venne pensato da cima a fondo rispondendo a delle semplici domande: che area è questa? Perché il Doom Slayer si trova qui? Da qui la creazione effettiva della mappa, dell’ambiente, ovviamente registrando tutto nei PDA sparsi al suo interno. Rispetto a Doom 2016 ogni singolo livello è decisamente più grande ed esplorabile, permettendo al giocatore di finire una parte della storia “con calma”, comprendendo anche la lore dietro il tutto. Tra enigmi e dettagli seminati tra e negli edifici, il mondo di Doom prende forma, facendo anche divertire i level designers che ormai trattano il loro lavoro come la costruzione di set Lego.
Id Tech 7, il nuovo motore di id Software, doveva aiutare in tutto questo con un esordio in pompa magna. Molto più potente di id Tech 6 e basato su Vulkan, esso mira a spingere al massimo delle capacità ogni console o componente PC disponibile. Le textures sono estremamente dettagliate, il sistema Destructible Demons definisce la mole di danno subita dai mostri, gli ambienti di gioco possono essere due volte più grandi di quelli creati con id Tech 6 e comunque le linee di codice sono calate di circa un milione. Oltretutto, la qualità dell’illuminazione grazie al supporto HDR è migliorata drasticamente. Altissima qualità per ottime prestazioni, un compromesso studiato e perfetto per non rovinare l’esperienza di gioco.
L’importanza della lore…
E la lore, quella che assieme alle musiche di Mick Gordon aveva caratterizzato il gioco del 2016, venne trattata ancor più nel dettaglio. Effettivamente era stata una grande sorpresa vedere il suo successo. Ha fatto pure cambiare idea a Carmack, che pensava “la storia nei videogiochi è come quella nella pornografia: bella ma non essenziale”. I testi del Codex e gli Slayer Testaments di Doom 2016 avevano attratto il giocatore, spingendolo a informarsi sempre di più su chi fosse lui, ovvero il Doom Slayer. Alcune sue scelte fatte su Marte nel 2149 (che non spoilereremo) necessitavano di una risposta ed Eternal doveva darle.
Hugo Martin decise dunque di lavorare ulteriormente sull’universo di Doom poiché ora ogni giocatore voleva saperne di più. I fan volevano un sequel per la storia più che per il gameplay, ormai consolidatosi nel suo stile. Ora i livelli dipendevano dalla storyline e in essa anche ogni demone ha un suo ruolo definito. La UAC che prima era un’organizzazione anonima doveva diventare più complessa, doveva permettere al giocatore di capire il perché volessero effettivamente andare su Marte, sfidare gli inferi. E Dr. Hayden? È cattivo o buono? Cosa vuole fare dopo Doom 2016? Troppe domande, tante risposte da dare.
…per la perfezione
Per tutti questo doveva essere il nuovo Doom Eternal: un gioco completo, complesso, un miscuglio di meccaniche combinate nel migliore dei modi tra loro. Ogni ingranaggio doveva funzionare bene così da renderlo il titolo desiderato da tutti. Un viaggio veramente epico che, come s’è visto in questi tre giorni, è osannato da tutti.
L’alba dell’hype
È il 9 agosto 2018, il QuakeCon annuale ha inizio. Sulla bocca di tutti c’è solo una parola: Doom. I giocatori lo vogliono, anche la critica non nasconde di volerlo. Dopo aver lasciato Bethesda parlare di Quake Champions e Rage 2 ecco che Martin e Stratton salgono sul palco. Il pubblico sa cosa significa tutto questo: Doom. E la fame dei piccoli Doom Slayers venne saziata con una premiere amata da tutti, su Twitch e non.
L’Inferno è giunto di nuovo sulla Terra assieme a Cacodemoni e Spider Mastermind pronti a uccidere il Doom Slayer. Tra grattacieli, negozi, centri commerciali e altri edifici demoliti dagli ormai arcinoti mostri di casa id, il consiglio è chiaro. Bisogna essere aggressivi, gestire le proprie risorse e, in caso di morte, apprendere dagli errori e ritornare ancor più motivati sul campo. Si parte col fucile a pompa, dotato anche di un nuovo gancio, per arrivare all’arsenale che va dalla mitragliatrice al BFG 9000. Sfruttare a pieno questo equipaggiamento diventa pian piano una sfida, con l’aumento di demoni e la presenza di boss e mini-boss. Combattere diventa quasi un puzzle parallelo agli enigmi sparsi per la mappa, rendendo il gioco ancora più difficile ma appagante. Questo è Doom Eternal.
Il build-up
Il pubblico è chiaramente in visibilio e l’hype è veramente smisurato. Ma mancano ancora due anni, si pensa. E i video dei gameplay aumentano, giornalisti e streamers che si cimentano nella prova delle demo non si limitano nel lodare il nuovo titolo. Doom Eternal è, citando John Romero nella sua pubblicità per Doom II, “una versione più grande e più cattiva del capitolo precedente”. Il prodotto nel tempo viene limato, curato fino all’ultimo, ma serve più tempo. Il rilascio viene rinviato al 20 marzo 2020, ma il pubblico non si lamenta. Passa il tempo e arriva il 17 marzo, l’invito della critica è questo: Prepare to Raze Hell. Mercoledì mattina Metacritic già pubblica un 87/100 per Doom Eternal. È davvero più cattivo.
La consacrazione di un franchise
“Penso che questo sia il gioco migliore mai fatto da id Software, almeno mentre ho lavorato qui. Questo perché abbiamo lavorato su un titolo precedente già di successo e per un periodo relativamente breve, con lo stesso team. È un sequel che non si vedeva dai tempi di Doom e Doom II nel ’93-’94. Sviluppare i due ultimi episodi del franchise è stato un onore, è stato divertente. I giocatori lo capiranno giocando Doom Eternal.”
Le parole di Stratton rispettano ciò che Eternal è a tutti gli effetti: un capolavoro. Qui il nostro caro Doom Slayer si trova sulla Terra, ormai conquistata dalle forze dell’Inferno che hanno sterminato il 60% della popolazione umana. Egli dovrà uccidere prima gli Hell Priests, tre arcimaghi sotto il comando dell’angelo alieno Khan Maykr che vuole rendere la Terra il nuovo Urdak. Nella ricerca del nemico il Doom Slayer scoprirà la sua origine (legata a Doom 64) e la sua missione, ovvero uccidere l’Icon of Sin. Ovviamente la trama qui è stata riassunta per evitare spoiler.
La lore
La lore è stata seriamente approfondita e resa estremamente ricca. Da componente snobbata è diventata la parte più significativa del nuovo Doom Eternal, che ora mostra la sua maestosità anche negli ambienti visitabili od osservabili nelle varie mappe, grandi o meno, soprattutto caratterizzate da arene in cui affrontare le ondate di demoni. Il gameplay “alla Doom”, come detto prima, è rimasto frenetico e divertente, condito però da un pizzico decisivo di strategia. Le Glory Kill hanno un ruolo infatti molto importante nella gestione di punti vita, armatura e munizioni. Il rischio di rimanere senza, del resto, è sempre dietro l’angolo. Le armi si potranno modificare con kit che rendono l’arsenale ancor più unico. I demoni sono molti di più e ce ne sono anche di nuovi, oltre ai classici presenti sin dai primi capitoli.
E il multiplayer com’è? Beh, ora esiste una modalità in cui i giocatori potranno diventare il loro demone preferito e sfidare il Doom Slayer in un 2vs1. L’obiettivo: farsi fuori a vicenda e rimanere in piedi. Una modalità molto divertente, apparentemente complicata, ma unica nel suo genere. Insomma, anche questo lato del gioco potrà finalmente attrarre giocatori, una fatica per Doom 2016. E non dimentichiamoci del lato audio! Ancora una volta gestito da Mick Gordon e dal suo gruppo di “metal screamers”, caratterizzano Doom Eternal. Come prima, anche stavolta la musica rende eccellentemente la frenesia del Doom Slayer.
Doom è Eterno
Ogni capitolo (o quasi) è riuscito nell’intento di innovare il mercato videoludico del suo periodo e di rinnovarsi rispetto al precedente. Doom ’93 e Doom II hanno rivoluzionato il mondo degli FPS, oltre che il mercato stesso grazie alla promozione di capitoli shareware gratuiti. Doom 64 ha cercato di dire la sua lavorando sulla grafica. Poi l’ombra di Doom 3 è giunta, nel capitolo horror della saga che ha anche lanciato l’importanza della lore nel franchise. Il titolo del 2016 ha cercato di rompere i dogmi del politically correct e gli standard stabiliti da Call of Duty e Battlefield. Infine, Doom Eternal è uscito in un periodo dove i due pilastri detti prima stanno cadendo nel vortice dei reboot e remake senza portare grandi innovazioni.
Partendo dalle menti di John Romero e John Carmack e giungendo a Hugo Martin e Marty Stratton (e Mick Gordon, direi, ndr), il franchise è l’espressione di come si deve lavorare sugli FPS, cercando elementi sempre nuovi, sviluppando tecnologie moderne e meccaniche che sappiano attrarre il consumatore. Procedendo di questo passo loro hanno stabilito altri standard che forse verranno trasmessi in sordina ad altre software house. Così magari potranno capire che è possibile sviluppare FPS innovativi e amati dai giocatori anche senza includere necessariamente modalità battle royale.
Doom Eternal può essere visto come la resurrezione del singleplayer in un tempo in cui il multigiocatore domina il mercato, soprattutto tra free-to-play e microtransazioni. Sfruttando la stessa dinamica di gioco, Doom ha saputo rinnovarsi specialmente negli episodi post-2004, dunque a partire da Doom 3. E forse è proprio questo che ha reso i fan della saga ancor più legati a essa.
Doom ora è davvero Eterno.
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