L’assurda mole di eventi che ci ha travolti in My Hero Academia finora magari ce l’aveva fatto dimenticare, ma gli eroi più importanti dell’assalto a Chisaki sono dei semplici ragazzini. Per colpa della negligenza dei loro insegnanti, e più in generale del sistema al quale essi si rifanno, questi marmocchi sono entrati svariate volte in contatto con la crudeltà di un mondo che in teoria si starebbero preparando per affrontare. Il problema non è neanche l’evidente divario in termini d’esperienza che li separa dagli altri, no. Piuttosto sono le ripercussioni emotive di ciò che hanno visto e soprattutto dovuto affrontare ad essere problematiche. Diavolo, Uraraka si è praticamente vista morire una persona tra le braccia. Questa roba non la dimentichi da un giorno all’altro.
E allora è normale che a tornare a casa, il ché è già un traguardo di suo, è soltanto una parte di te. Perché possiamo dire tutto quello che vogliamo: che ormai dovrebbero essersi abituati agli imprevisti o che nessuno li sta obbligando a continuare, ma nulla può cambiare la verità dei fatti. Nel soffice letto della loro stanza ci tengono soltanto il corpo, perché la loro mente è rimasta indietro. È ferma lì a pensare e a condannarsi, ad attribuirsi la colpa di ogni singola cosa andata storta. “Se avessi fatto quello, forse la situazione sarebbe cambiata”. “Ah, se solo fossi stato più forte…”.
Per fortuna, comunque, per stenderli completamente ci vuole ben altro. Recentemente abbiamo avuto modo di notare l’aura di positività che continua ad abbracciare la narrazione nonostante tutto, e come fare a non ritrovarla nel discorso di Milio in ospedale? Tra tutti lui è quello che dovrebbe stare peggio. In un attimo ha perso quanto di più prezioso aveva, eppure è lì più energico che mai. Una delle caratteristiche principali di un eroe, come la serie stessa ci ha ampiamente mostrato, è quella di saper sorridere sempre e comunque. All Might ha fatto di questo aspetto uno dei cardini del suo successo, e ritrovarlo persino in adesso in Milio è maledettamente ironico. Quel sorriso che contraddistingueva il più grande degli eroi è scomparso con la sua ultima battaglia, smettendo forse di essere genuino ben prima. E adesso ad avercelo è proprio Milio: l’erede mai erede per davvero.
Tutti quelli che non hanno partecipato alla missione invece sono molto più tranquilli. O sarebbe meglio dire quasi tutti. Si, Bakugo e Todoroki sono rimasti indietro, ma adesso si apprestano a tornare in carreggiata. Davanti a loro c’è un nuovo test, un esame inaspettatamente simile a quello in cui furono bocciati poco tempo prima. Questa volta, però, i bambini con cui si troveranno a dover fare i conti non sono degli attori. Il malessere che provano è reale, ed è il frutto dell’incapacità che la loro insegnante ha dimostrato nel gestirli — problema che, guardate un po’, abbiamo toccato proprio qualche paragrafo fa’. E proprio come per Midoriya, Uraraka, Tsuyu e Kirishima, le conseguenze di questa situazione si ripercuotono sul loro lato emotivo.
Mostrando in maniera troppo evidente le sue debolezze, l’insegnante si è esposta eccessivamente al giudizio dei suoi alunni. I bambini hanno iniziato a vederla come una figura inadatta al suo ruolo, finendo poi per calpestare la sua autorità. La maestra quindi si trasforma nel simbolo dell’adulto incapace di comprenderli e dal quale di conseguenza non c’è più nulla da poter imparare. Dietro pensieri come questo c’è arroganza, la stessa arroganza che caratterizza il piccolo leader della rivolta.
Questa avversione verso la figura dell’adulto è il sintomo più evidente di un conflitto intergenerazionale nel quale però i bambini sono tutt’altro che gli unici ad essere coinvolti. Todoroki ed Inasa hanno da tempo chiuso le porte con una figura che ritenevano paterna, e allo stesso tempo Bakugo con l’arroganza c’è praticamente andato a nozze. Per questo devono essere loro a fare un qualcosa per questi bambini, perché la loro situazione attuale trova le sue radici nello stesso identico problema di fondo. È come se si stessero aiutando da soli, praticamente.
Sia la maestra che il neo-promosso Eroe #1 hanno fallito nel loro compito di tutori, ed è curioso che entrambi facciano il primo passo per migliorare proprio insieme ai giovani e ai bambini. Curare questo aspetto sarà sicuramente più cruciale per Endeavor, su questo non c’è dubbio. Pensate a quanti altri Inasa ci saranno in giro: persone innocenti ferite dal suo acido comportamento. Ecco, per quanto quella del simbolo della pace non debba essere la strada a cui l’eroe deve aspirare, è impossibile guadagnarsi la fiducia del mondo intero se si continua ad essere così scorbutici. Per questo nell’aria sento puzza di approfondimento sul personaggio. D’altronde questo è il suo momento, è lui sotto i riflettori. Il mondo adesso è sotto la sua protezione, e quale miglior motivo di questo per iniziare a migliorare?
Infine prendiamoci un momento per parlare del nostro principino spara-laser.
Su, dai, ammettiamolo: Aoyama non è esattamente al centro dei nostri pensieri quando guardiamo My Hero Academia. Anzi, potremmo dire che in fin dei conti è soltanto una macchietta. Un personaggio molto meno che secondario il cui scopo è quello di farci fare due risate nei momenti morti. Uno studente forse anche un po’ fuori luogo, considerando che la sola sezione B è piena di individui dal maggiore potenziale che avrebbero potuto brillare di più nei momenti più pericolosi in cui la classe si è cacciata. Pensandoci, poi, le scene in cui appare non sono neanche così particolarmente divertenti, e cosa succede ad un personaggio che non riesce neanche a svolgere il suo unico compito? Esatto, finisce in fondo alla lista “motivi per cui guardo questa serie”.
Insomma, tutto questo per dire che fino ad ora Aoyama non mi piaceva più di tanto. Eppure dopo questo breve ma significativo avvenimento non posso che ricredermi. Perché vedete, la cosa più importante non è neanche il fatto che il personaggio ci ha incontrovertibilmente dimostrato di essere molto di più che una macchietta; di essere una persona come tutte le altre, con i suoi sentimenti e con le sue aspirazioni. No. La cosa più incredibile è che Aoyama ha fatto tutto questo a modo suo, conservando quelle peculiarità che lo hanno sempre contraddistinto. Il suo carattere, le sue gesta, il modo che ha di esprimersi: tutti elementi che soltanto adesso delineano un contorno più chiaro. È questa la magia della storia di Kohei Horikoshi: quella di riuscire a ribaltare completamente un personaggio in 10 minuti.
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