Siamo sinceri, tutti questi dialoghi avevano un po’ stancato. Si può provare ad accompagnarli con una regia un po’ più ispirata; si può provare ad alternarli ad un (per carità, fantastico) episodio su Kirishima, però poi si arriva ad un momento in cui è necessario passare ai fatti. Figuriamoci se c’è bisogno di dirlo, ma My Hero Academia si basa sull’azione, e mai come in questa fase iniziale si è fatto attendere così tanto. Il fatidico scontro sul quale tutto l’arco narrativo ha investito per tutto questo tempo è finalmente arrivato. Eppure, per quanto sia stato appagante uscire da questo circolo vizioso di dialoghi e attesa (di cui specialmente il settimo episodio si rende colpevole), devo ammettere che le circostanze che hanno condotto ad esso mi sono sembrate davvero forzate.
Facciamo un gioco: voi siete a capo di un’importantissima investigazione su uno dei criminali più temibili del paese. Per mesi e mesi vi dedicate anima e corpo per svolgerla in assoluta segretezza, facendo del vostro meglio. E poi, proprio quando avete accumulato abbastanza indizi per sbatterlo dentro vi ritrovate a dover scegliere tra: 1) coglierlo di sorpresa nell’assoluto silenzio o 2) ingaggiare in un conflitto diretto. Nel primo caso porterete a casa il jackpot con il minimo sforzo e rischio. Nel secondo, invece, metterete in pericolo un enorme numero di eroi senza neanche avere la certezza di concludere qualcosa. Quindi mi chiedo… ma qualcuno non dovrebbe essere come minimo licenziato?
Da qui in avanti è facile perdersi. Potremmo iniziare a mettere in dubbio l’effettiva capacità delle cariche di rilievo di mantenere l’ordine in giro, e da lì domandarci se la caduta di All Might avrebbe effettivamente causato meno trambusto se questo fosse stato affiancato da persone più competenti, ma se lo facessimo staremmo prendendo un grande abbaglio. La verità è che a Kohei Horikoshi serviva solo un espediente per rendere tutto più interessante, per fare casino. E va bene, si, risultato ottenuto… però adesso mi sento preso in giro.
Quando prima ho detto che My Hero Academia si basa sull’azione, intendevo che è attorno ad essa che ruotano sia lo sviluppo della storia che quello dei singoli personaggi. Certo, questo scontro si sarebbe potuto evitare, ma è chiaro che Horikoshi l’ha messo lì per una ragione ben precisa. I prossimi avvenimenti forniranno ai nostri eroi l’occasione perfetta per mettersi in mostra. Attraverso di essi li vedremo crescere, e se questo è il lato positivo della medaglia allora sono disposto anche a tollerare quello negativo. L’unica nota effettivamente negativa di quanto visto sin’ora, comunque, sono le animazioni. Come già avete potuto leggere nel primo commento, purtroppo molti talenti se ne sono andati, e per quanto la serie riesca effettivamente a fornire delle sequenze d’animazione tutto sommato anche notevoli, la verità è che il livello di consistenza della seconda stagione sembra essere lontano un miglio.
Ma tornando al punto: a rivelare il suo passato questa volta è Tamaki Amajiki dei Big Three, che si mette in gioco per far recuperare terreno ai suoi compagni. Lo scontro con i tre scagnozzi della Yakuza è terribile, ma nonostante il palese handicap il nostro Suneater riesce a spuntarla. E nel farlo ci rivela anche l’origine del suo nome da eroe, specchio del futuro se stesso che insegue con ardore. La sua è una storia tanto commovente quanto comune sull’incredibile influenza che una semplice ma profonda amicizia può avere sulla nostra vita. Amajiki era convinto di non essere per nulla interessante. Si era rassegnato a rimanere invisibile per sempre, eppure qualcuno scorge in lui un qualcosa di affascinante, di unico. E ciò gli apre gli occhi, lo spinge a migliorare.
E che dire su Milio… davvero un personaggio carismatico. Il modo in cui affronta le difficoltà della vita è fantastico, e durante la scena al tramonto è impossibile non fare parallelismi con All Might. Proprio come lui, infatti, Milio è un vero e proprio punto di riferimento, che riesce con il suo atteggiamento positivo ad infondere tranquillità. Quest’arco narrativo ha sicuramente parecchio a che fare con lui, e in tutta onestà non vedo l’ora di saperne di più. Perché se c’è una cosa che proprio All Might ci ha insegnato, è che dietro ad un sorriso perennemente smagliante si nascondono grandi cicatrici.
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