Uno sguardo al passato
Nel 1959 viene deciso che la diciottesima edizione delle moderne olimpiadi debba svolgersi nella capitale nipponica. E’ la prima volta in assoluto che in Asia si svolgono i giochi olimpici; è l’edizione di Tokyo del 1964, che vede l’introduzione di nuove discipline sportive tra cui il judo. Le varie discipline sono trasmesse via cavo e tutto il mondo può vedere come nel giro di soli 20 anni, il Giappone (totalmente raso al suolo nel corso della seconda guerra mondiale) sia diventato e stia diventando una delle maggiori potenze economiche mondiali.
I leader politici nipponici fremono dalla voglia di gettarsi alle spalle gli orrori della seconda guerra mondiale e di dimostrare al mondo intero la prosperità del paese (sia da un punto di vista economico, che da un punto di vista sportivo). Tuttavia, nonostante alcune medaglie d’oro ottenute in diversi sport prestigiosi come la pallavolo, lotta libera e boxe, arriva la sconfitta del judoka Akio Kaminaga. La medaglia d’argento di Kaminaga impedisce al Giappone di primeggiare nel judo in tutte le varie categorie di peso. Per i giapponesi questo diviene un vero e proprio dramma sociale; se da un lato il Giappone dimostra di poter primeggiare in campi ben più importanti di quello sportivo, dall’altro emerge una forte voglia di riscatto sportivo e dimostrare di non essere secondi a nessuno.
Lo spokon di Ikki Kajiwara
Si può dire che la condizione del Giappone di quegli anni era piuttosto frammentata; non tutto il Giappone mostrava segni di ripresa così evidenti, anzi erano moltissimi i quartieri in cui prevaleva la miseria e la povertà. Ed è proprio rimarcando questo aspetto che le opere di punta di Kajiwara prendono vita: L’uomo tigre e Ashita no Joe. Tali serie difatti prendono la componente sportiva e la sfruttano per descrivere uno spaccato di storia ben delineato, in cui a prevalere non è tanto la voglia di riscatto a livello sportivo, quanto piuttosto la voglia di affermarsi a livello umano e sociale.
Naoto Date (protagonista de l’uomo tigre), che ricordiamo ancora oggi per le sue prodezze nella lotta contro avversari dai costumi sgargianti, inizierà il proprio cammino nel mondo del wrestling spinto dalla necessità e dalla voglia di riscatto nei confronti di un’esistenza misera. Proverà a caricarsi sulle spalle la stessa realtà misera che lo ha reso ciò che è oggi, lottando per sé stesso e per i bambini orfani a cui si paleserà come una vera e propria figura di riferimento. Davanti ad un televisore arcaico, i bambini seguiranno gli scontri del loro eroe mascherato tifando appassionatamente per lui, quasi a volersi aggrappare all’illusione di un eventuale riscatto sociale che da soli non sono in grado di raggiungere. Nel mentre Naoto Date combatte contro i suoi demoni cercando di apparire sempre come un modello leale per i suoi spettatori e occupandosi emotivamente ed economicamente di loro.
Joe Yabuki
Per quanto ritenga L’uomo tigre una serie molto interessante e carica di emozioni genuine, l’eccessiva idealizzazione della figura di Naoto Date a modello da seguire in tutto e per tutto risulta, a mio avviso, un po’ stucchevole. Ashita no Joe da questo punto di vista si dimostra una serie decisamente più interessante ed attuale, perché si divincola totalmente da qualsiasi concetto buonista e propone un protagonista completamente diverso: Joe Yabuki.
Joe Yabuki, esattamente come Naoto Date, è un orfano tormentato dalla sua condizione. Saltando da un orfanotrofio all’altro e non riuscendo mai ad integrarsi in nessuna di queste realtà, fugge dall’orfanotrofio di Tokyo e vive la sua vita vagabondando come un cane randagio attraverso le baraccopoli e i bassifondi. Sia Naoto che Joe non si presentano di primo impatto come personaggi amabili, tuttavia mentre il primo riusciamo a comprenderlo e ad accettarlo nonostante i suoi difetti, Joe si presenta volutamente come un personaggio odioso e detestabile. Pur metabolizzando il fatto che si tratti di un personaggio che ha vissuto nella miseria per tutta la vita, è davvero difficile tollerare il suo modo di fare e di approcciarsi alla realtà ed al prossimo.
Joe è rissoso, totalmente privo di empatia e capace unicamente di pensare a sé stesso, anche a costo di danneggiare gli altri. Non gliene frega assolutamente nulla degli altri orfani come lui (come faceva invece Naoto), qualsiasi cosa va bene purché avvantaggi la sua persona e al diavolo il resto. L’autore non ci dà neanche un solo motivo per amare questo personaggio, vuole che il lettore provi compassione per le sue disgrazie e disgusto per il modo con cui si approccia alla vita.
Il rapporto tra Joe e Danpei
Danpei è un ex pugile ubriacone ed il suo primo incontro con Joe non è sicuramente dei migliori. Dopo essere stato preso a cazzotti da Joe, Danpei rinsavisce e vede nel ragazzo del talento pugilistico innato e farà di tutto per poter diventare il suo allenatore. Danpei vede brillare qualcosa in Joe; per la prima volta da quando è nato qualcuno apprezza qualcosa in lui.
La simile condizione di esistenza relegata all’essere un reietto della società, fa si che nel bene e nel male tra i due nasca qualcosa (sebbene inizialmente solo in modo unilaterale). Per quanto Danpei agisca per lo più per i suoi interessi, vedendo in Joe il riscatto verso una società che non lo ha mai accettato, egli appare come l’unico vero personaggio positivo dai primi istanti dell’opera. Danpei fa davvero di tutto per ottenere questo riscatto sociale e Joe si metterà davvero di impegno per farsi odiare ancora di più dallo spettatore/lettore, dimostrandosi egoista e sfruttando la situazione a suo vantaggio ed a scapito del povero uomo.
Tuttavia la determinazione di Danpei presto darà i suoi frutti, intanto Joe finirà in riformatorio per una delle sue cattive azioni ed è proprio in riformatorio che Joe inizierà a confrontarsi un po’ più umanamente con il prossimo (sebbene la sua evoluzione come personaggio sia ancora decisamente acerba).
Il rapporto tra Joe e Danpei subirà delle svolte decisamente interessanti e si dimostrerà molto turbolento. Definirlo come un rapporto genitore e figlio sarebbe molto riduttivo; è un qualcosa di molto coriaceo per certi versi e labile per altri. Tuttavia è proprio il contesto sociale a permettere a questi due perdigiorno di restare nel bene e nel male sempre assieme. L’elemento sociale che impedisce ad entrambi i personaggi di realizzarsi, diventa il collante per eccellenza del loro legame e permette al rapporto di essere saldo.
Il rivale più iconico
L’impegno di Joe verso la boxe appare fiacco e privo di un qualsivoglia stimolo degno di nota. Mentre Danpei continua a sgolarsi inutilmente, a Joe manca qualcosa: qualcuno che parli la sua stessa lingua (quella dei cazzotti). Ed è qui che fa l’entrata in scena Rikishi, proprio al riformatorio, in uno dei momenti più importanti di Joe. Rikishi è completamente diverso da lui; è riflessivo, onesto, leale… a suo modo incarna la figura dell’eroe romantico, che da un lato possiede dei valori che permettono allo spettatore/lettore di empatizzare e dall’altro non risulta stucchevole, in quanto questi valori sono controbilanciati da un percorso di vita non sempre impeccabile.
Impossibile non amare Rikishi ed il suo modo opposto di approcciarsi alla vita; la sua continua voglia di mettersi in discussione per diventare un uomo migliore, la positività con cui affronta il suo passato e l’onestà con cui si approccia a qualsiasi tipo di cosa, lo rendono amabile e lo contrappongono in modo perfetto al nostro protagonista, che diventa il personaggio che lo spettatore/lettore vuole vedere sconfitto.
L’incontro tra i due personaggi risulta particolarmente entusiasmante non soltanto a causa della forte rivalità; i due impareranno (seppur a modo loro) a guardare la boxe non più unicamente come mezzo per dare cazzotti, ma come una nobile arte con cui affermarsi e nobilitarsi come individui. Rikishi arriverà a perdere decine di chili per affrontare il suo rivale sul ring, nonostante gli innumerevoli rischi per la sua salute. Joe d’altra parte si dedicherà per la prima volta seriamente a qualcosa ed ormai ha iniziato il suo percorso per affermare la sua posizione nel mondo.
Joe come Naoto: idolo delle masse
Nonostante l’estrema diversità con cui Naoto e Joe si rapportano con la gente, entrambi diventano dei veri e propri idoli di una generazione allo sbando e totalmente incapace di intravedere un domani. L’ambientazione che fa da sfondo alle vicende prende spesso il sopravvento; le baraccopoli e i bassifondi di un Giappone ancora fortemente relegato al post guerra si palesano in tutto il loro degrado, con persone completamente incapaci di trovare una via di fuga ed un modo concreto per realizzarsi.
In un contesto del genere Joe, pur non caricandosi di responsabilità come Naoto, diventa un vero e proprio idolo per i suoi simili. I bambini lo adorano particolarmente, perché essendo cresciuti per strada e conoscendo unicamente quest’ultima come maestra di vita, trovano in Joe da una parte un punto di riferimento inamovibile, dall’altra un compagno ed un amico con cui parlare la stessa lingua: quella della strada.
Conclusione
Penso che Ashita no Joe sia una di quelle storie da tramandare nei decenni e da far scoprire a qualsiasi persona che si avvicina al media dell’animazione e del fumetto giapponese. La boxe intesa come sport passa spesso in secondo piano e lascia spazio alle emozioni e alla credibilità dei personaggi, il che permette all’opera di risultare sempre godibile ed attuale anche per coloro che non dovessero amare il tipo di sport in questione. Perché in fondo la boxe è solo un espediente narrativo; uno strumento come tanti attraverso il quale i vari personaggi comprendono al meglio la loro essenza e quella del prossimo.
Inoltre ad oggi Ashita no Joe possiede uno dei finali più iconici (se non il più iconico) dell’intero panorama fumettistico giapponese. L’inquadratura finale da sola simboleggia l’intera opera ed in tal senso bisogna ringraziare Chiba (illustratore del fumetto) che ha avuto carta bianca sul da farsi in quanto Kajiwara non riuscì a crearne una altrettanto di impatto.
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