Martin Scorsese approda finalmente su Netflix, e lo fa nel migliore dei modi
Netflix, Prime Video, Disney+ e Apple TV, sembra ormai ovvio che di qui a poco i consumatori di prodotti audiovisivi assisteranno ad una vera e propria guerra sul piccolo schermo. Con una concorrenza sempre più aggressiva, i colossi dello streaming sono ormai costretti a ritagliarsi una fetta di mercato puntando a target ben precisi.
Se da una parte la piattaforma di topolino punta ai prodotti d’intrattenimento di largo consumo, Netflix è sempre più decisa a investire sul cinema dei grandi autori.
In questi tempi dominati dai cinecomics, il colosso dello streaming americano sembra l’unico battello di salvezza per l’ormai sempre più impossibile cinema d’autore. Sono infatti già diversi i registi che hanno deciso di farsi traghettare con successo, affermandosi anche alle manifestazioni più importanti.
Insomma, dove i produttori sembrano non voler più osare, arriva Netflix. In questo caso, Netflix è arrivato anche per Martin Scorsese.
The Irishman, un film colossale. 3 ore e 30 di puro cinema. Una follia, per molti studi di produzione.
Nonostante i nomi coinvolti, le incertezze per i produttori erano difatti molte; a cominciare dalla necessità di utilizzare una tecnologia per ringiovanire un ormai anziano Robert De Niro. Il risultato, neanche a dirlo, è invece complessivamente più che riuscito. Non solo ci troviamo davanti ad un monito, un film che farà scuola: The Irishman rappresenta anche un immenso traguardo, sia per Scorsese, che per Netflix. Da una parte c’è la summa di quel tipo di cinema che Scorsese ha contribuito a costruire col passare degli anni, dall’altra, abbiamo invece quello che è sicuramente il più grande successo raggiunto da Netflix in termini produttivi, proiettando (si spera) lo studio verso nuovi orizzonti.
Soffermarsi sulla produzione era dunque d’obbligo, perché per come è arrivato, The Irishman sarebbe stato possibile solo su Netflix. Si, perché per lo spettatore d’oggi 3 ore e 30 senza pause sono tante, troppe (anche giustamente). Nessun produttore avrebbe permesso l’uscita di un film simile senza tagli sul montato finale.
Ci troviamo dunque di fronte ad un Martin Scorsese senza freni, che fra un movimento di macchina e l’altro riesce a veicolare tutte le sue tematiche più care, dalla religione al senso della vita. Il tutto impregnato da un alone di malinconia decisamente originale per la sua filmografia.
Frank Sheeran (Robert de Niro) è un veterano irlandese della seconda guerra mondiale avvicinatosi ad un boss della mafia italo-americana, Russel Bufalino (Joe Pesci). Una volta preso in confidenza, Russel presenterà Frank a Jimmy Hoffa (Al Pacino), capo del sindacato dei camionisti americano, più popolare di Elvis e dei Beatles messi insieme.
Tre mostri sacri, insieme, per la prima volta. A dirigere,uno dei migliori registi attualmente sulla piazza. Insomma sembrerà scontato dirlo, ma le interpretazioni rappresentano proprio una delle tante punte di diamante del film. Un Joe Pesci nei panni di un ruolo tanto delicato quanto invisibilmente spietato che, insieme a De Niro, ci regala anche qualche deliziosa scenetta recitata tutta in Italiano. Da tempo non si vedeva poi un Al Pacino così prestante, in grado di valorizzare al massimo il suo irascibile Jimmy Hoffa.
La pellicola è poi divisa in diverse linee temporali, da qui viene ovviamente la necessità di ringiovanire al computer Robert de Niro. Come già detto prima, nonostante i timori iniziali, stiamo comunque parlando di un processo più che riuscito; però non si può di certo nascondere che in alcuni momenti la sensazione sia la stessa trasmessa da Joseph Gordon Levitt in quel gioiello di Looper firmato da Rian Johnson: alienante.
Attraverso Frank Sheeran, un uomo forse troppo devoto al lavoro, tanto da non riuscire a provare reali sentimenti e asservire ai suoi compiti secondo un ossessivo senso del dovere, lo spettatore si trova a vivere la parabola decadente di un personaggio che ha come sfondo la storia degli Stati Uniti stessa, affrontando temi importanti come quello della malavita, del sindacalismo e della politica. Un percorso, quello di Frank, in grado di toccare tutti quegli elementi ricorrenti nell’opera di Scorsese. Il tutto si esaurirà poi in un mondo ormai inesistente, dove l’unico superstite è proprio Frank, the irishman: “chi è stato?” (chi vedrà, saprà).
Sulla regia e l’apparato tecnico è stupido anche dubitarne: Scorsese con la macchina da presa ci dialoga, quello a cui si assiste sono momenti di una potenza visiva tale da non annoiare in 210 minuti.
Insieme ad un sapiente lavoro di sceneggiatura vengono poi allestite sequenze già cult dal retrogusto quasi ironico come il famoso pasto in prigione di “Quei Bravi Ragazzi”, su tutte andrebbe sicuramente citata la scena in cui Frank deve prepararsi per un lavoro, valutando con attenzione quale arma utilizzare in base alla situazione.
Titoli di coda, la sensazione è quella di conclusione assoluta. Intendiamoci, è ovvio che non ci riferiamo ai sequel o a quella situazione di “non finisce qui” tipica delle pellicole Marvel tanto amate da Scorsese. Ci riferiamo ovviamente ad un finale in senso assoluto. Ora si è finalmente detto tutto sulla mafia italo-americana del tempo. Ora è arrivato il momento di metterci una pietra sopra. Per sempre. Nel migliore dei modi.
Però è inutile mentire, 3 ore e 30, come già detto prima, sono troppe. Sicuramente gli appassionati di cinema non se lo faranno scappare comunque, ma il pubblico occasionale valuterà bene se passare o meno 3 ore e 30 filate della propria vita dentro una sala cinematografica. Non c’è da biasimare nessuno e non importa, i più indecisi potranno recuperare questo capolavoro assoluto anche su Netflix, godendoselo, magari, in più episodi. Proprio come una miniserie.
Voto 9.5
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