Da quando Robert Iger è diventato CEO della Walt Disney Company, la multinazionale statunitense ha avviato una campagna acquisti migliore del Manchester City: miliardi su miliardi investiti su colossi come Marvel, Pixar, LucasFilm Ltd e parte di Fox. Queste sono solo alcune delle acquisizioni effettuate, società poi rese ancor più politically correct con licenziamenti in seguito al #MeToo o altri fenomeni (vedi i casi di John Lasseter e James Gunn) e cambiamenti nelle loro produzioni. Proprio questo politically correct, ora, sta portando un’AI nella “casa di Topolino”.
GD-IQ, l’AI che analizza la “correttezza” dei copioni
Dal 2017 in poi la Disney ha cominciato a rendere ogni sua opera appetibile a un pubblico maggiore. Come? Solcando l’onda dei vari fenomeni internazionali contemporanei e promuovendo una “correttezza sociologico/politica”. Ovviamente con questo si intende, detto semplicemente, l’evitare disparità di genere, discriminazioni d’ogni tipo, e così via.
Per rendere più facile questo processo di checking continuo dei film marchiati Disney, gli studios ora inizieranno a utilizzare GD-IQ: Spellcheck for Bias. Come si può dedurre dal nome stesso, questa intelligenza artificiale analizzerà i copioni di ogni singola opera per il grande schermo e cercherà di trovare ogni passaggio che, anche involontariamente, potrebbe rappresentare un comportamento discriminante. Ergo, dei possibili bias (pregiudizi, ndr) nei confronti di una o più persone presenti nella pellicola.
L’algoritmo ideato dall’attrice Geena Davis e creato dall’University of Southern California analizzerà quindi i personaggi nel loro aspetto fisico (partendo da sesso ed etnia) e nei loro comportamenti e gesti durante il film. In particolare l’AI si focalizzerà sulla parità di genere, evidenziando quante donne e quanti uomini sono presenti nel copione. Successivamente, il programma si occuperà di sottolineare quei passaggi potenzialmente discriminatori presenti nel copione ed avvertire gli sceneggiatori, così da cancellarli e renderli “corretti”.
L’utilità di GD-IQ per la società…
Quello di GD-IQ è onestamente un lavoro degno di nota, che sfrutta le capacità delle nuove tecnologie per cercare di portare contenuti di maggiore qualità. O forse si sta più proponendo come un “paladino artificiale del politically correct”? Se fosse così, è davvero necessario alla società?
Storicamente, questo fenomeno è molto moderno. Tutto è partito dagli USA, negli anni ottanta, per ridurre le discriminazioni nei confronti degli afro-americani e dei gay. Un intento necessario al tempo e nobile nell’intenzione. Pian piano però è divenuto forse estenuante, con ricorsi a definizioni negative (esempio, “non vedente”) che vengono promosse come qualcosa di corretto ma finiscono per offendere ulteriormente le vittime stesse.
Affidarsi al politically correct può essere considerato da parte delle multinazionali come un tentativo di apparire “pulite” ed evitare ripercussioni legali, economiche e/o sociali. Un po’ come ha cercato di fare Blizzard nei confronti delle proteste a Hong Kong, “attaccando” giocatori professionisti e staff ma attirando l’odio dei fan poiché la politica internazionale ha influenzato il mondo degli sport elettronici e dell’intrattenimento.
Ormai il politically correct può essere dunque considerato eccessivo (in alcune sue forme) e non strettamente necessario. Almeno, nel modo in cui viene manifestato e sostenuto al giorno d’oggi. In passato la sensibilità su questi temi veniva promossa non con divieti o cambi di linguaggio, ma con la semplice condanna dell’atto negativo. Un modo più comprensibile ed efficace, che passava anche tramite fumetti come Topolino e permetteva ai più piccoli di capire per esempio cos’è il razzismo e come combatterlo.
Forse, oggi sono necessarie misure più severe perché c’è un problema grave nell’educazione. Ma questa è un’altra storia.
…e per il cinema
Tornando sul mondo del grande schermo, ora sembra doveroso chiedersi: GD-IQ avrà un impatto positivo sul cinema in quanto arte o no?
Molti appassionati di cinema si sono già lamentati di come il “politicamente corretto” abbia invaso il cinema negli ultimi anni. Un esempio? Halle Bailey, attrice afroamericana, interpreterà Ariel nel live action de La Sirenetta, una fiaba storicamente danese. In diversi casi, in effetti, questa “correttezza” ha bocciato, minato o modificato pellicole interessanti anche per un singolo elemento recepito negativamente. Eppure, anche prima del boom del fenomeno esistevano film molto “scorretti” ma apprezzati dagli spettatori e divenuti poi dei cult, come Mezzogiorno e mezzo di fuoco di Mel Brooks, Videodrome di David Cronenberg, o Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini.
Insomma, anche in ambito cinematografico gli effetti di GD-IQ potrebbero rivelarsi eccessivi e non strettamente necessari. La qualità e la positività, del resto, non stanno per forza nella completa correttezza, anzi possono esserci anche nella narrazione di eventi negativi o con personaggi “difettosi”. Dipende tutto da come si evolve la storia, qualcosa che un’AI non capirà mai allo stesso modo di un essere umano.
Anche per questo un algoritmo come GD-IQ potrebbe essere estremamente pericoloso: non solo perché potrebbe sconvolgere la trama stessa e lo svolgimento della vicenda, ma anche perché ha le potenzialità per condannare atti che per gli umani possono essere visti in modi diversi. All’algoritmo manca il “cuore”, manca l’umanità, quindi non può comprendere gli errori attraverso mere parole chiave inserite in un sistema computerizzato. E questo è un errore che si vede già con gli algoritmi di YouTube e Facebook.
Il mondo, del resto, non è perfetto
Oltretutto GD-IQ finirebbe per dipingere il mondo come qualcosa di eccessivamente perfetto e positivo, e potrebbe paradossalmente spingere più persone a manifestare atteggiamenti discriminatori. L’obiettivo non è cancellare le discriminazioni dalle arti o dalla società in generale, ma è comprendere come combatterle. E questo un’AI non lo sa fare; gli algoritmi sanno solo negare. E negare non significa educare, ma ripudiare un errore dell’essere umano senza educare le generazioni successive.
È questo quello che vogliamo davvero nel nostro futuro?
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