“C’era una volta…”
È con questa frase che iniziano tutte le fiabe che si rispettino; grazie a quattro semplici parole, il lettore (o, in questo caso, lo spettatore) viene catapultato in un magico regno di fantasia, dove tutto, per quanto assurdo, sembra possibile. Questo è esattamente ciò che Quentin Tarantino vuole raccontare con Once Upon a Time in Hollywood: una fiaba.
Un cast d’eccezione
La nostra storia è ambientata in un magico regno chiamato Los Angeles, alla fine degli anni ’60, e narra le avventure dell’attore televisivo Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e della sua fedele controfigura/migliore amico Cliff Booth (Brad Pitt). I due cercano di sopravvivere in una Hollywood che li sta pian piano abbandonando. Nel frattempo, nella celeberrima Cielo Drive, la strada privata dove vive Dalton, da qualche giorno si sono trasferiti in una villa, adiacente all’abitazione dell’attore, il regista Roman Polanski e la sua compagna, l’attrice Sharon Tate (Margot Robbie).
La pellicola è chirurgicamente divisa in due parti: la prima narra gli eventi dell’8 e 9 febbraio 1969, mentre la seconda quelli dell’8 e 9 agosto dello stesso anno.
La prima metà del film risulta essere un ampio collage di scene di vita quotidiana di Dalton e Booth dentro e fuori dai set cinematografici. Queste scene sono intervallate da continui e repentini flashback, i quali vengo inseriti di getto all’interno della pellicola, mandando (volutamente) non poche volte in confusione la bussola temporale dello spettatore. Tarantino, attraverso un sapiente mix di cinema e metacinema, riesce quindi a far ragionare lo spettatore sulla natura stessa dell’attore.
Ciò che traspare fin dalle primissime scene è tuttavia l’amore quasi ossessivo che il regista statunitense ha per la Hollywood di quel periodo. La città rivive gli anni ’60 attraverso una cura maniacale per i dettagli: cartelloni, insegne al neon, drive-in, automobili, stazioni radio, gli hippie, il tutto amalgamato alla perfezione per ricreare una Hollywood senza tempo, in cui lo spettatore può perdersi, come in una fiaba.
E i “fottuti” hippie della Manson Family?
Ciò che potrebbe far storcere il naso a molti è che la prima parte di film è caratterizzata dalla quasi assenza di una vera e propria evoluzione della trama, che viene “sacrificata” a favore delle scene di vita quotidiana sul set e per far percepire allo spettatore l’atmosfera della Hollywood degli anni ’60.
I fucking hippies della Manson Family vengono quindi introdotti nella storia poco alla volta, fino a che non ci vengono degnamente presentati in una sequenza ricca di tensione allo Spahn Movie Ranch, un vecchio set cinematografico dove i seguaci di Manson alloggiavano.
Una conclusione… Tarantiniana
Se la prima parte di C’era una volta a… Hollywood potrebbe sembrare leggermente lenta e prolissa, la seconda, che racconta del famoso massacro avvenuto in una villetta di Cielo Drive, è un concentrato di pura follia Tarantiniana. E poco importa se Tarantino ha “leggermente” modificato i fatti (come aveva già fatto con la morte di Hitler in Bastardi Senza Gloria), il risultato finale è da brividi.
Voto 9
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