Che cosa significa essere un eroe? Dove risiede la giustizia, se è possibile individuarne una? Che tipo di azioni possono portarci a definire un individuo “paladino della giustizia”? Sono domande importanti, che sfruttano termini altisonanti e concetti profondi dei quali tanto si sente parlare in qualsiasi ambito.
Cinematografia, letteratura, fino ad arrivare a campi apparentemente più astrusi come quello filosofico o giuridico, sono tanti i settori che si sono occupati di queste tematiche, cercando di sviscerarle, di trovare risposte assolute. Risposte assolute che, se vogliamo essere onesti, probabilmente non esistono. La definizione di giustizia, così come quella di eroe, è del tutto soggettiva, e viene costruita sulla base dei vissuti personali di ciascuno di noi.
Anche l’animazione giapponese ha più volte affrontato questo tema con prodotti più o meno noti. Tra questi, il leggero Tiger & Bunny, che nasce come controparte parodica dei ben più noti eroi Marvel o DC, il ben più noto My Hero Academia o ancora Psycho Pass, che ancora oggi ad anni di distanza dal suo primo adattamento animato stupisce per la profondità con la quale affronta temi legati alla giustizia e al crimine. E sono solo alcuni dei molti esempi che possiamo fare!
Come ho già detto nell’introduzione, uno dei punti comuni a tutto franchise di Fate è proprio la riflessione intorno a concetti come eroe e giustizia. Potevamo aspettarcelo da una serie nella quale alcuni dei personaggi principali sono degli Spiriti Eroici, incarnazioni di grandi Eroi del passato diventati famosi e “scelti” dal Graal per le loro gesta o per i loro ideali, ma in realtà il motivo è più profondo di questo.
Il Santo Graal è un oggetto di immenso potere capace di realizzare qualsiasi cosa che sceglie di volta in volta i partecipanti alla guerra. Ognuno dei personaggi avrà perciò un desiderio specifico che animerà la sua volontà di combattere, che lo porterà avanti nel corso della storia; che sia il desiderio di conoscenza, dell’immortalità, di conquista o semplicemente la volontà di vincere, tutti hanno le loro motivazioni. Come potevano mancare personaggi mossi dalla volontà di diventare paladini della giustizia?
Emiya Shirou e il padre adottivo, Emiya Kiritsugu, sono esattamente questo. Due uomini, due Master profondamente legati alla loro idea di giustizia e che per tutta la vita si sono battuti per provare a diventare degli eroi, dei paladini in grado di salvare quante più persone possibili.
Oggi parleremo proprio del personaggio di Shirou, nelle route Fate e Unlimited Blade Works. Queste, rispetto a Heaven’s Feel, sono maggiormente affini, e lo sviluppo del personaggio differisce in pochi punti, mostrando uno Shirou che, alla fine, persegue la stessa strada, rimanendo fedele a se stesso.
Della terza route, invece, parlerò singolarmente più avanti.
Shirou è un ragazzo del liceo ed è il protagonista maschile di Fate/Stay Night. Viene trovato e salvato da Kiritsugu dopo la fine della Quarta Guerra per il Santo Graal, questi lo adotta e gli insegna le basi della magia. Il ragazzo conduce una vita da persona normale, non è un mago dal particolare talento ed è capace solo di usare il rafforzamento e la proiezione. Usa i propri poteri occasionalmente, ogni tanto per dare una mano ad aggiustare la strumentazione della scuola, e si adopera il più possibile per aiutare chiunque ne abbia bisogno.
È subito reso evidente quanto Shirou sia rimasto profondamente segnato dall’incendio a Fuyuki causato proprio dalla Guerra, tanto che non riesce a sorridere o a divertirsi spensierato come tutti i suoi coetanei e manifestando dei veri e propri sensi di colpa per il semplice fatto di essere sopravvissuto. Allo stesso tempo, non è difficile capire quanto quegli eventi e la vita con Kiritsugu lo abbiano reso più maturo di tanti altri ragazzi della sua età, talmente tanto da avere già idee ben precise sulla giustizia e su come vuole vivere. Vuole essere un eroe, capace di aiutare tutti, questo è il suo imperativo morale, e viene chiarito sin dall’inizio.
Shirou, a differenza di Kiritsugu, rifiuta l’idea che salvare una persona significhi non essere in grado di salvarne un’altra, e nel corso della serie lo vedremo più volte ribadirlo, impegnarsi con tutto se stesso, come a volere dimostrare a Kiritsugu che aveva torto, che è possibile salvare chiunque, non solo le persone vicine a noi.
La contrapposizione tra padre e figlio è paragonabile a una vera e propria battaglia ideologica; nonostante il primo sia morto il nostro protagonista custodisce con cura gli insegnamenti del padre adottivo e cerca di realizzare il sogno che da lui ha ereditato. Allo stesso tempo, inconsciamente, cerca di provare quanto sbagliati i suoi mezzi fossero.
Il background dei due è diverso, e la loro differente idea di giustizia e di eroe deriva proprio dalle loro esperienze. Kiritsugu è venuto a conoscenza della realtà del mondo nella maniera peggiore possibile, e sin da ragazzo ha potuto sperimentare la cruda verità: la strada che conduce al diventare eroi è lastricata di cadaveri, dei corpi delle persone che si è scelto di non salvare in favore di altre. Di lui, comunque, tratterò in futuro.
Shirou si fa carico del sogno del giovane Kiritsugu: diventare un eroe. Non sopporta di vedere le persone fallire nell’aiutare gli altri, detesta le sofferenze dei propri simili, odia l’idea di vedere qualcuno morire senza potere fare nulla per evitarlo. In fin dei conti è proprio per questo che impara a padroneggiare le arti magiche: non per divertimento o per continuare un retaggio, ma per aiutare e, così facendo, stare bene con se stesso. La stessa ragione per la quale deciderà, inizialmente riluttante, di partecipare alla Guerra per il Graal: mosso dal desiderio di evitare che l’oggetto finisca nelle mani di qualcuno che lo userebbe per fare del male.
“Sono avido, a volere un finale in cui sono tutti vivi e felici? Tutto quello che voglio è che siano tutti felici e in pace, è qualcosa di così difficile da ottenere?”
La desidera talmente tanto che, andando avanti con la storia, diventerà la linfa che lo spingerà ad andare avanti nella Guerra, il fuoco che alimenterà la sua volontà di combattere (Heaven’s Feel a parte). Per dimostrare le proprie convinzioni e portarle avanti, per realizzare il suo sogno, Shirou parteciperà a questa guerra sanguinaria col desiderio di aiutare, di proteggere.
È avventato, ingenuo, molto coraggioso e per nulla calcolatore: l’opposto di Kiritsugu, che prevedeva qualsiasi cosa nei minimi dettagli. Anzi, spesso lo vedremo intraprendere azioni suicide, buttandosi a capofitto in battaglie che sa di non potere vincere o mettendo a rischio la sua stessa vita per proteggere le persone che gli stanno intorno. Nel primo scontro con Berserker, ad esempio, o, ancora, contro Caster.
L’importante è fare il possibile per aiutare gli altri nei limiti delle proprie capacità, secondo Shirou. Che sia chiunque, o la persona che reputa la più speciale tra tutte, il ragazzo si mostrerà più volte disposto a rinunciare alla sua vita pur di salvare qualcuno.
Proprio per questo suo punto di vista si scontrerà più volte con Rin, Sakura e Saber, le quali cercheranno di fargli notare più volte che è impossibile vivere mettendo continuamente al primo posto gli altri e dimenticando di godersi la vita.
Molte volte le ragazze hanno cercato di convincerlo a non vivere così, che il suo senso di colpa per essere sopravvissuto o il suo sentirsi responsabile non cambierà nulla. Non è colpa sua, dopotutto.
“Shirou, quell’incidente non è stato colpa tua. Non è qualcosa di cui tu devi sentirti responsabile. Non hai nulla da farti perdonare.”
Certamente. Lo so, è stato solo un incidente, e io sono solo una vittima. Voglio dire, ci sono stati dei momenti in cui mi sono sentito in colpa per essere l’unico sopravvissuto, però…
“Rin ha detto che la tua abnegazione è normale, e io sono della stessa opinione. Tu non cerchi di salvare gli altri al costo della tua vita. Tu non hai semplicemente alcun riguardo per la tua vita.”
Il sacrificio personale
Certamente il sacrificio è una delle caratteristiche principali di questo personaggio, così come la sua ostinazione, la sua caparbietà – la cieca fedeltà che, nella prima route, lo aiuta a rimanere fedele al proprio ideale senza mai vacillare, senza mai dubitare. Ciò lo porterà per buona parte della route a cercare in tutti i modi di fare evitare lo scontro a Saber e infine alla consapevolezza che è lei la persona che Shirou desidera proteggere più di tutte. La persona per la quale è disposto a sacrificare la vita: tutto pur di evitare che lei si ferisca, che lei combatta.
Quello che inizialmente era il desiderio di evitare che qualcuno si faccia male diventa, grazie alla realizzazione dei suoi sentimenti per il suo Servant, il tentativo di dare alla donna amata la ricompensa che merita. La felicità che merita.
Perché Saber merita un desiderio per se stessa, non per gli altri. Perché lei non è adatta al combattimento, né è veramente se stessa quando impugna una spada. Per Saber è disposto a rinunciare a qualsiasi altra cosa, ed è per lei che – più avanti – si impegnerà fino alla fine nella Guerra.
Shirou vuole diventare un eroe in grado di salvare tutti, anche a costo di morire. È la conclusione che raggiunge: essere un paladino della giustizia significa anche sapere fare delle scelte ed essere disposti a sacrificare se stessi, e questo lui lo ha sempre saputo.
“Lei è più importante della mia incolumità. Se non è in grado di proteggerla, questo corpo non mi serve. Mi ha aiutato così tante volte… Non ho mai tenuto così tanto a nessuno in tutta la mia vita, perciò… Se non può proteggerla, che Shirou Emiya muoia pure! […] Sin dall’inizio, ho giurato di combattere proprio perché non volevo vederla soffrire.”
Molti criticano Shirou, sostenendo che pecchi di eccessivo ottimismo o che sia semplicemente infantile nel suo desiderio– gli stessi che finiscono per apprezzarlo maggiormente in Heaven’s Feel proprio per la piega radicalmente diversa del suo sviluppo (spoiler!).
In realtà a un’analisi più approfondita che la novel ci fornisce, Shirou è assolutamente consapevole del fatto che ci vorrebbe un miracolo per salvare chiunque, che solo Dio potrebbe farlo. Durante una rapina, anche riuscendo a salvare tutti gli ostaggi ci sarebbe comunque qualcuno che non potrebbe essere salvato: il rapinatore. Ne è perfettamente consapevole, eppure non riesce ad accettare questa realtà.
È un personaggio tanto apparentemente altruista quanto estremamente egoista: infondo è il primo a mettere al primo posto il proprio desiderio, la propria risoluzione, figlia della tragedia alla quale ha assistito a Fuyuki dieci anni prima e che lo ha portato a crescere in quel che qualcuno potrebbe definire deviato. Ciò che ha sperimentato, le persone che ha visto morire e quello che ha perso – Tutto questo lo ha portato a desiderare di salvare tutti, di essere lì come Kiritsugu era lì per trarlo in salvo quel giorno.
“Il desiderio di volere essere d’aiuto agli altri non può essere sbagliato.”
Non cerca un grazie, né tanto meno desidera di essere ricompensato o essere celebrato come un paladino della giustizia. Cerca solamente un “finale” nel quale ognuno riesce ad essere felice, e questo nasce dalla gratitudine e dell’ammirazione nei confronti di Kiritsugu per averlo salvato, che ha alimentato e sostentato per anni questo suo sogno.
«Il mio corpo è la mia spada»
“Ho visto l’Inferno. Ho visto l’Inferno a cui un giorno arriverò. All’inizio, ho visto quelli’inferno. Per quale ragione sono sopravvissuto e sono stato risparmiato?”
Ciò che permette a Shirou di rimanere costantemente fedele al proprio ideale è il senso di colpa che prova per essere stato risparmiato, per essere il solo sopravvissuto in quell’incendio. Questa determinazione è una delle caratteristiche più ammirevoli del personaggio: la forza, la costanza con le quali riesce a perseguire un ideale senza arrendersi, senza vacillare.
Oltre al senso di colpa, vi è anche una profonda volontà di mostrarsi “degno” di essere sopravvissuto, per non tradire tutte quelle persone che invece sono morte. Per loro deve andare avanti, deve diventare un eroe, per impedire che in futuro possa verificarsi un’altra tragedia e per non voltare le spalle a tutte le vittime di quel giorno.
Il mio corpo è la mia spada: la determinazione è l’arma più forte che il nostro protagonista possiede. Non sono le spade, non è la proiezione, né l’abilità curativa di Avalon, bensì il coraggio con cui riesce ad inseguire il proprio sogno, indipendentemente dalle sofferenza che incontrerà in futuro.
In Unlimited Blade Works, invece, a differenza di Fate, Shirou si trova quasi al punto di rottura col suo ideale. Viene infatti svelata l’ipocrisia e la debolezza del suo desiderio dal se stesso che, quello stesso desiderio, lo ha realizzato.
E tuttavia, mentre Archer lo pone dinnanzi alle sue stesse contraddizioni e al fallimento del loro ideale, proprio lì c’è l’ennesima dimostrazione della sua ferrea determinazione.
Gli viene mostrata l’inconsistenza della sua volontà, la falsità del sogno che ha imposto a se stesso e del suo desiderio – che Archer sostiene nasca solo ed esclusivamente dalla volontà di imitare Kiritsugu, che lo ha portato a condurre una vita da automa, privo di ogni tipo di ambizione personale e reale – eppure proprio in quel momento il ragazzo trova la risposta che cercava. Trova l’ennesima conferma che gli serviva per perseguire nel proprio cammino, fino alla fine. La riaffermazione potenziata della sua risoluzione che stava cercando:
“Questo è ciò che hai dimenticato. Senza dubbio all’inizio si è trattato solo di ammirazione, però… Alla base di questa ammirazione c’era un desiderio: il desiderio di evitare questo inferno. Il desiderio inesaudito di un uomo che voleva aiutare gli altri e alla fine non è riuscito a realizzare nulla. Sì, se anche questa vita si rivelerà colma di ipocrisia, io… Continuerò a volere essere un paladino della giustizia. […] Se anche la mia vita fosse un falso, il desiderio di volere rendere felici gli altri è comunque bello. Io non indietreggerò, non tornerò sui miei passi. Questo sogno… Non potrò mai essere sbagliato.”
Ecco che cos’è la giustizia, per Emiya Shirou.
Ecco cosa definisce un eroe.
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