La prima regola di quando si entra in un sito porno è sempre stata quella: attivare la navigazione in incognito. Se ci si dimentica, allora cancellare la cronologia immediatamente. Beh, mi dispiace dirvi che nemmeno questa regola è ormai valida, poiché i colossi come Google e Facebook vi tengono sempre d’occhio. Anche nei momenti più intimi in cui “indossate una maschera”.
Quando i data trackers sono ovunque, anche nei siti porno
In uno studio condotto dalla ricercatrice Microsoft, Elena Maris, e da altri esperti sono stati scannerizzati 22484 siti porno per capire dove sono presenti dei trackers e di chi sono. Questo per salvaguardare, ovviamente, gli ignari utenti che pensano solo a godersi il momento.
“Questi siti porno devono pensare di più ai dati di cui sono in possesso. Essi possono riguardare persino la salute delle persone, quindi proteggere queste informazioni personali è cruciale. […] Purtroppo, con questa ricerca abbiamo capito che queste piattaforme non hanno l’attenzione necessaria al riguardo.”
Queste le dichiarazioni della Maris che, assieme a Jennifer Henrichsen e Tim Libert, ha scoperto che il 93% dei siti scannerizzati mandano quei dati a – in media – sette domini di terze parti. In particolare, il software (open-source) utilizzato sarebbe webXray, il quale prenderebbe i cookies e li invierebbe ai domini d’interesse.
Ancora, Google e DoubleClick avrebbero trackers nel 74% dei siti porno analizzati, la Oracle nel 24%, e Facebook nel 10%. E solo il 17% del totale sarebbe criptato, dunque questi dati sarebbero costantemente a rischio di attacchi da parte degli hacker. Un meccanismo che, secondo la Maris, “è simile a quello sfruttato nei negozi online e costituisce un allarme rosso, perché riguarda dati specifici e personali”.
Perché ci sono questi trackers?
Se forse può apparire “normale” per l’utente medio trovare dei trackers anche nei siti per adulti, dall’altra parte la ragione può essere più o meno nota. Tracciare e studiare i dati condivisi dal consumatore tramite la sua connessione, è estremamente utile per la maggior parte dei servizi online. Questo perché permette di comprendere le abitudini quotidiane, gli interessi della persona, e dunque offrire loro un servizio migliore.
Condividere queste informazioni con terze parti, poi, aiuta ulteriormente l’azienda. Ma qui entra in gioco la tutela della privacy che, ultimamente, specialmente dopo l’entrata in vigore del GDPR sta mostrando le sue falle. I dati dell’utente infatti non sono sempre anonimi, come affermano le compagnie stesse. Certo, alcune sono più basilari (es. il dispositivo dal quale ci si connette) ma altre sono più complesse e pericolose (es. indirizzo IP).
E ciò che viene fatto di questi dati, in questo caso dei siti porno, da parte delle aziende è quasi un mistero. La Oracle, per esempio, è definita “la Morte Nera della privacy” in questo ambito. Nei casi di Google e Facebook, invece, è già più noto dove vanno quei dati ma non è sempre chiaro il perché vengono raccolti.
Entrambe queste ultime si sono difese affermando, rispettivamente, che “Google non permette l’utilizzo di Google Ads nei siti per adulti e proibisce la profilazione dell’utente e dei suoi interessi sessuali” e che Facebook segue una linea simile a quella di Google, ma il “pixel tracker” di Facebook blocca i siti porno. Oracle, invece, non ha risposto ad alcuna accusa.
Ma lo studio non finisce qui
Maris e Libert nella loro analisi hanno inoltre scoperto che circa il 45% delle URL dei siti “espongono chiaramente o danno indizi sui contenuti”, mostrando così orientamento sessuale e interessi dell’utente. Insomma, informazioni sensibili che potrebbero veramente compromettere la persona.
Il problema ulteriore è che gli utenti non possono sapere quale azienda ha i trackers e in quali siti, senza contare che solo nel 17% dei 22484 ci sono privacy policies evidenti. Una mancanza di discrezione che, secondo la Maris, è pari alla mancanza del consenso sessuale:
“Il silenzio in un rapporto sessuale non è pari al consenso. Ed è la stessa cosa in questo caso: gli utenti devono avere una visione chiara delle dinamiche del sito.”
Il consenso dunque ci deve essere sia nel sito che nella realtà, altrimenti non è un rapporto alla pari. Ormai tracciare tutto è normale nell’Internet, senza alcun dubbio (o quasi). Ma, ovviamente, c’è modo e modo.
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