Osamu Dezaki: la sua firma stilistica nell’animazione commerciale e l’importanza di Remi
Disegnata magistralmente dal character designer Akio Sugino (probabilmente uno dei migliori della storia, ricordato anche per opere del calibro di Legend of the galactic heroes, Caro fratello, Ashita no Joe), splendidamente fotografata da Hirotaka Takahashi (Lady Oscar), Remi – Le sue avventure rappresenta un’opera parallela al progetto World Masterpiece Theater avviato dalla Nippon Animation, che non fa’ parte delle produzioni dello stesso studio, tuttavia ne contiene l’essenza stilistica di cui ho già parlato nel mio primo articolo relativo ai meisaku. L’opera è un adattamento animato tratto dal romanzo Sans Famille del 1878 dello scrittore francese Hector Malot e il regista è appunto Osamu Dezaki, che passerà alla storia come uno dei registi più influenti della storia dell’animazione.
Pur lavorando su soggetti scritti da altri autori, Dezaki è riuscito ad imprimere un segno caratteristico a tutte le sue opere, sia per lo stile (caratterizzato da inquadrature oblique e angolate dal basso nella maniera espressionista), sia per il tipo di storie, spesso permeate da un certo nichilismo di fondo che nell’animazione non troverà validi corrispettivi nemmeno negli anni a seguire. A lui si deve l’introduzione negli anime di soluzioni registiche innovative, quali lo split screen e l’uso di fermi immagine su disegni particolarmente curati, da lui stesso definiti “cartoline ricordo“.
Remi, oltre ad essere ricordata come una delle opere di punta del maestro Dezaki, lo è anche per un’innovazione tecnica non indifferente, ovvero l’effetto 3D (chiamato in maniera un po’ pretenziosa per i tempi, ma era qualcosa di mai visto prima d’allora). Per la sua realizzazione fu impiegata una tecnica di sovrapposizione dei fondali, che con un movimento differenziato davano l’impressione di una maggiore profondità di campo.
Una famiglia sul lastrico e l’inizio di una nuova vita
Nato a Londra da una nobile famiglia inglese, Richard Milligan viene rapito ancora in fasce per ordine dello zio che vuol diventare unico erede delle fortune di famiglia. I rapitori lasciano il neonato in Francia a Parigi, dove il signor Gerolamo Barberin lo trova per caso e decide di allevarlo insieme alla moglie, dandogli il nome di Remì. Il padre lavora come muratore a Parigi e manda i pochi soldi che guadagna alla moglie in paese, ma un brutto giorno si infortuna cadendo da un’impalcatura e rimane invalido. Fa causa al padrone del cantiere spendendo tutti i soldi della famiglia nel processo, ma la perde: la famiglia è completamente rovinata ed è costretta a vendere l’unica mucca per ripagare i debiti.
Remì ora è una bocca di troppo da sfamare e il signor Barberin accetta la proposta del signor Vitali, incontrato per caso in una locanda della città, che si dice interessato a prendersi cura del ragazzino ormai di otto anni, e farlo lavorare nella sua compagnia artistica ambulante. La decisione spezza il cuore della madre adottiva, che non accetta la decisione del marito, ma Remì è ormai partito ed è un membro della compagnia Vitali, assieme ai cani Capi, Zerbino, Dolce ed alla scimmietta Joli Coeur.
Lo scenario che apre le vicende ci mostra una situazione a dir poco disastrosa, in cui si susseguono diverse disgrazie l’una dietro l’altra e portano il giovane Remi ad un drastico cambiamento e quindi a doversi abituare ad una nuova vita, completamente diversa da tutto ciò che era stata fino ad allora e ad un nuovo modo di approcciarsi al mondo in cui non è più un bambino, ma un piccolo adulto costretto a provvedere giorno per giorno al suo sostentamento.
La compagnia del vecchio Vitali diventa quanto mai fondamentale per Remi, il quale vede in egli un maestro di vita, ma anche il padre che fondamentalmente non ha mai avuto.
La vita si è fatta più dura, al punto che è difficile scorgere dei barlumi di felicità quando perfino la sopravvivenza stessa viene messa a dura prova giorno dopo giorno vivendo di stenti e ai margini della società, riuscendo a malapena a sfamarsi con quei pochi spiccioli guadagnati con la propria arte.
La massima espressione del melodramma settantino
“Remì, ti senti felice o infelice in questo momento? Pensaci, voglio una risposta precisa.
Non… non lo so proprio.
E’ una risposta giusta. Purtroppo non possiamo mai saperlo. Se tu pensi alla tua felicità di una volta, allora ti capita di sentirti infelice adesso. E se invece ti senti felice adesso e pensi di essere stato infelice in passato, questo vorrebbe dire che non sai cosa sia la felicità. Sai ragazzo, da questo villaggio è uscito un uomo che un giorno diventò Re. Non voleva essere povero, e così si mise a lavorare sodo, e combatté, e uccise molti nemici, e alla fine diventò il Re di Napoli. Ma quell’uomo una volta mi disse che rimpiangeva i giorni in cui era un semplice ragazzo di paese. Non mi disse il perché, ma io lo sapevo benissimo.
Non possiamo cambiare il destino di una persona, né il suo passato né il suo presente, e non sappiamo se è felice o no.”
La frase che Vitali rivolge a Remi rappresenta una vera e propria summa non solo dell’anime in sè, ma della vita stessa. L’estrema difficoltà dell’uomo nel cercare di raggiungere una felicità vera e non illusoria, diventa motivo per l’uomo stesso di lottare per essa, contro le avversità del quotidiano e gli impedimenti tutti, arrivando però a chiedersi che senso abbia. Forse la felicità è irraggiungibile e di conseguenza l’unica cosa che possiamo realmente fare è goderci le cose che ci vengono date nel bene e nel male, perché solo così è possibile sentirsi vivi.
La parte più importante di questo viaggio sono proprio le persone che Remi incontrerà e che contribuiranno in modo significativo a formare il suo io e il suo vissuto: Vitali stesso, la Signora Milligan, l’esuberante ragazzo delle strade Mattia e tanti altri.
La componente drammatica che permea l’opera e lo stato d’animo di tutti i personaggi con cui Remi avrà a che fare, diventa un punto di forza nella costruzione di legami più solidi, coriacei e veri. In Remi non è presente alcuno sconto e tutto ci viene mostrato senza filtri tra morti, fame, povertà e stenti; i pochi momenti di felicità sono enfatizzati dalla moltitudine di sventure che li hanno preceduti.
Conclusione
Remi rappresenta a mio avviso la massima espressione del genere drammatico (assieme ad un’altra manciata di opere che conterei sulle dita di una mano) che l’animazione seriale giapponese abbia mai avuto modo di mostrare allo spettatore. Gli anni 70 in fondo rappresentano proprio appieno quel periodo dell’animazione caratterizzato da una componente di dramma enfatizzata e molto carica di dolore, che non avrà più eguali negli anni seguenti fino ad oggi. Un appassionato di anime abituato a guardare soltanto serie moderne potrebbe rimanere piuttosto sorpreso da quanto forte sia Remi da questo punto di vista, soprattutto alcuni episodi in particolare come il 26.
Da un punto di vista puramente grafico-tecnico siamo di fronte a pure arte e basta scorgerne la peculiarità dei fondali per rendersene conto, che rimandano inevitabilmente all’arte espressionista. Degno di nota è inoltre il finale di serie (abbastanza controverso oserei dire) che stravolge completamente il romanzo e conferisce delle sfumature decisamente giapponesi all’opera; a mio parere un tocco di qualità che ha reso l’opera ancora più Dezakiana.
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