IN QUESTO ANGOLO DI MONDO
Un tema delicato
Il film di cui sto per parlare è stata una piacevole sorpresa per me. Uscito nel 2016, è passato leggermente in sordina senza destare particolarmente l’attenzione, venendo etichettato come film nella media. Per la regia di Sunao Katabuchi, In questo angolo di mondo è un film estremamente valido, del quale non ho mai compreso la fredda accoglienza riservatagli dal pubblico, che riesce egregiamente a trattare un tema molto delicato: la guerra.
Penso che chiunque abbia un minimo di buon senso sia concorde con me nel dichiarare che la guerra è fra le cose peggiori degli esseri umani, qualcosa di cui purtroppo non siamo mai riusciti a liberarci veramente. Oggigiorno, esse continuano a mietere sempre più vittime in alcuni angoli del mondo, verso le quali la solidarietà della maggior parte delle persone estranee ai conflitti armati è piuttosto limitata. La guerra ha fatto parte dell’umanità fin dai suoi primi passi su questo pianeta, creando avvenimenti che, per quanto tristemente noti, sopratutto in questo periodo molta gente sembra stupidamente rimpiangere.
I motivi che spingono a combattere possono essere fra i più disparati: superstizione religiosa, il vil denaro, impossessarsi di territori molto redditizi, ecc. Ovviamente, ad una persona sufficientemente perspicace appare ovvio quanto queste scuse siano a dir poco patetiche, nonché mero pretesto per giustificare il semplice desiderio di liberarci di qualcuno che non ci fa comodo. Dopotutto, la guerra non cambia mai.
La cosa più fastidiosa riguardo tutto questo è che paesi interi vengano coinvolti in conflitti che provocano la morte di molti per decisioni prese da pochi. Coloro al di sopra di noi decidono di entrare in guerra trascinando la propria nazione con loro e condannandola inevitabilmente alla miseria, dato che le peggiori ripercussioni le hanno sempre avute le persone comuni, le più deboli ed indifese.
Un dettagliato resoconto
La trama si svolge durante gli ultimi anni della seconda guerra mondiale, e ci narra le vicende di una giovane donna di nome Suzu che, dopo il suo matrimonio, si trasferisce da Hiroshima a la piccola cittadina di Kure per vivere con la famiglia del marito. Dal carattere allegro e distratto, Suzu si vede costretta a far fronte a tutte le difficoltà della vita famigliare, perennemente circondata dalla minaccia dei bombardamenti.
La storia di per sé è molto semplice e ci narra una una vicenda non particolarmente appassionante. Tuttavia, ciò che la rende valida è proprio la semplicità e la grande attenzione per i dettagli; Sunao Katabuchi ha diretto questo film con un occhio molto minuzioso e quasi documentaristico, dedito ad enfatizzare anche le attività apparentemente più noiose, nonché a mostrare lo stile di vita dei giapponesi durante quel periodo; non c’è alcun bisogno che un racconto sia pregno di misteri, complotti o particolari intrighi per essere interessante.
Mi ha positivamente sorpreso la mia incapacità di distogliere lo sguardo durante le scene in cui Suzu cucina o si cuce un vestito, due attività che normalmente non mi interesserebbero affatto, qui rese davvero belle da vedere grazie alle splendide animazioni. In questo angolo di mondo punta a mostrare come i giapponesi reagivano alla guerra e le sue conseguenze, e lo fa in maniera molto appassionante da seguire. Vedremo la loro quotidianità immersi in un ambiente difficile, dove il pericolo può colpire quando meno lo si aspetta.
Una normalità inconcepibile
Malgrado il costante pericolo, Suzu e la sua famiglia tentano di condurre una vita tranquilla, facendosi forza l’uno con l’altro per superare anche i momenti più bui, che non saranno pochi. La guerra, infatti, non si fa scrupoli e colpisce indiscriminatamente chiunque; vediamo come anche le persone più positive e speranzose come Suzu possano venire mentalmente e fisicamente distrutte da essa.
Più che sugli orrori della guerra, Sunao Katabuchi (che ha anche curato la sceneggiatura) ha preferito concentrarsi sui cambiamenti che porta nelle vite delle persone. Sotto questo aspetto il film colpisce davvero duro, e lascia davvero basiti l’assoluta normalità con cui i giapponesi vivevano delle situazioni che ai giorni nostri sarebbero assurde: svegliarsi nel cuore della notte con l’allarme antiaereo e correre a nascondersi in un rifugio, esseri costretti a cibarsi delle sempre meno razioni che l’esercito distribuisce, passeggiare per le strade dopo un bombardamento con il rischio che qualche bomba inesplosa ti colpisca, ecc.
Rassegnazione e positività
Quest’opera permette di farsi un’idea di come era dura e insostenibile la vita durante quegli anni oscuri; restando al sicuro in casa nostra, seduti sul nostro divano senza correre alcun rischio, grazie ad essa possiamo assistere alla rappresentazione della sofferenza che in troppi hanno patito, immergendoci con la fantasia in un periodo nel quale non vorremmo mai davvero essere. L’assoluta passività con cui Suzu e gli altri vivono i continui bombardamenti sulla città lascia veramente con il cuore a pezzi, e nessuno di loro dimostra mai alcun segno di rabbia, risentimento o rancore; nei loro sguardi e nelle loro voci c’è solo la rassegnazione di vivere in una realtà non voluta ma inevitabile, davanti la quale non possono fare altro che arrendersi.
Ogni singola volta che l’allarme per i bombardamenti risuonava, tutti smettevano di essere persone per diventare automi che eseguivano le procedure di sicurezza in modo freddo e meccanico, ormai abituati a ciò. Durante la visione, l’odio per quell’allarme non può che nascere e diventare sempre più forte nel cuore degli spettatori; quel suono assordante interrompe continuamente la quiete di una cittadina, generando paura e distruggendo senza pietà ogni tentativo di Suzu di essere felice. La nostra protagonista è davvero adorabile, una ragazza incredibilmente pura e positiva, proprio il tipo di persone su cui la guerra nuoce di più. Lei tenta di farsi forza in tutti i modi possibili, ma la crudeltà che la circonda rende tutto vano.
La tragedia di Hiroshima mostrata con eleganza
Ovviamente, Katabuchi non poteva non parlare dello scoppio delle due atomiche su Nagasaki e Hiroshima (luogo d’origine dela nostra Suzu). Ho veramente apprezzato, però, il modo in cui l’ha fatto: ogni tanto il regista ci mostra la data in cui si svolgono le vicende narrate in una determinata scena, e ciò ha proprio l’obbiettivo di prepararci psicologicamente allo scoppio. Man mano che si va avanti vedi i giorni, i mesi e gli anni scorrere mentre quel fatidico 6 Agosto 1945 si avvicina inesorabilmente. Il tutto è simile ad uno spietato conto alla rovescia, durante il quale si viene attanagliati da una forte ansia, sapendo che quel giorno prima o poi arriverà.
Mi ha positivamente stupito anche la scelta di non mostrare la violenza dello scoppio; Sunao Katabuchi si è limitato a farne vedere le conseguenze giunte fino alle città vicine, risparmiandoci la visione di Hiroshima rasa al suolo con le strade ricoperte di cadaveri carbonizzati. Ho trovato coraggiosa la scelta di non sfruttare la facile tristezza che un simile evento può generare per forzare il pubblico alle lacrime. Non è necessario mostrarci quell’orrore per comprenderlo. La violenza visiva in questo film è limitata al minimo indispensabile, dandogli una connotazione meno tragica e rendendolo fruibile a persone di tutte le età, e davvero non me lo aspettavo.
Molti avrebbero preferito vedere tutto nel dettaglio, ma io penso sarebbe stato superfluo; dall’inizio alla fine il film mantiene un’ atmosfera molto tranquilla, quindi penso che mostrarlo non solo avrebbe stonato con tutto il resto visto fino ad allora, ma sarebbe risultato solo un evidente tentativo di sfruttare quella tragedia come mezzo per commuovere facilmente lo spettatore. Non posso dire che questa sia un’opera leggera, ma Katabuchi ha deciso di mostrare la sofferenza delle persone senza esagerare e, quindi, strumentalizzarla.
Inoltre, degna di nota e la scelta di non demonizzare eccessivamente gli americani per lo sgancio; l’America dovrà convivere con questo macigno sulla coscienza per il resto della sua storia e (pur non risparmiando le critiche per il gesto) Katabuchi ha saggiamente deciso di non calcare troppo la mano, dato che ormai puntare il dito serve a ben poco.
Aparato tecnico
Le animazioni sono ottime, come è anche logico aspettarsi da un lungometraggio. Ho apprezzato come gli animatori si siano impegnati a rendere anche la scena più semplice il più veritiera possibile. Questo fattore aumenta notevolmente il realismo del film, oltre a rendere interessanti delle attività che altrimenti mi annoierebbero.
La colonna sonora è un po’ anonima, sicuramente l’aspetto più debole della produzione. A parte il tema principale che sentiamo durante i titoli di apertura non ci sono OST particolarmente memorabili. Molto azzeccato l’uso dei colori pastello leggermente desaturati, che rendono le scene simili ad un dipinto. Tale scelta combacia con l’effettiva passione di Suzu per la pittura, unica cosa che riesce a donarle un po’ di gioia.
Un paragone inutile
Dopo aver visto In questo angolo di mondo è quasi impossibile non confrontarlo con un altro film molto noto fra i fan: Una tomba per le lucciole. Questo paragone da una parte lo capisco, ma dall’altra mi sembra piuttosto inutile. Malgrado il tema trattato sia simile, i due film puntano a trasmettere qualcosa di completamente diverso: quello di Takahata mostra senza alcun tipo di censura o abbellimento tutte le atrocità di un conflitto militare e la sofferenza che ne deriva, quello di Katabuchi, invece, si concentra sugli effetti e i cambiamenti che questo porta nella quotidianità delle persone.
In questo angolo di mondo conserva la sua parte più esplicita e cruda solo per il finale, mostrando per gran parte del film un resoconto dettagliato simile ad un documentario su come il giapponese medio reagiva al conflitto. Secondo il mio modesto parere, paragonare queste due ottime pellicole non serve a niente. Puntano ad un tipo di pubblico differente, e la scelta su quale delle due prediligere dipende da ciò che ciascuno cerca in un film di questo tipo.
In questo angolo di mondo non è un film perfetto: a volte può risultare un po’ lento e potrebbe lasciare con l’amaro in bocca chi cerca un film emotivamente più forte. Malgrado ciò, rimane comunque un’ ottima opera, che io ingenuamente non andai a vedere al cinema all’epoca della sua uscita, recuperandola di recente non pentendomene. Un film che con grande semplicità ed eleganza riesce a commuovere e far riflettere chi lo guarda, criticando aspramente uno dei periodi più oscuri della storia dell’umanità.
L’importanza della pace
Vivendo in un’ epoca di grandi scontri politici come la nostra, dove le persone che inneggiano alla guerra sono in costante aumento, per me questo film è stato come un raggio di sole in un cielo fitto nuvole oscure. Invito chiunque abbia letto questo articolo a vederlo e a ricordare quanto siamo fortunati. Io ho sempre considerato una mia grande fortuna il poter vivere in un paese senza guerre, perché ogni volta non posso fare a meno di pensare a tutto ciò che io e miei cari subiremmo in caso contrario. Invito i vecchi nostalgici di quel periodo orribile (che in Italia si fanno sentire fin troppo spesso) a ricordare quanto la guerra sia dolorosa, e quanto la vita sia un bene inestimabile.
Ancora oggi, gli scontri continuano ad imperversare in alcuni paesi, le vittime si susseguono senza sosta e a coloro che non ne sono coinvolti importa ben poco. In cuor mio spero che prima o poi quell’inferno finisca, perché tutti in questo mondo, dal primo all’ultimo uomo, indipendentemente da razze e culture, devono avere la possibilità di essere felici.
Restiamo umani, sempre e comunque! Lasciamo l’odio e le battaglie ai film e costruiamo un futuro migliore. Io ho un sogno: che prima o poi arrivi il giorno in cui gli umani impareranno finalmente a comprendersi e le guerre non siano altro che spiacevoli ricordi da studiare sui libri di storia. Mi rendo perfettamente conto della poca probabilità che ciò si realizzi, ma la speranza è l’ultima a morire.
Se avete trovato questo articolo di vostro gradimento, vi invito a leggere quello su Una tomba per le lucciole scritto da Chiara. Alla prossima!
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