La guerra è finita
“La sera del 21 settembre 1945 io morii.”
Così inizia Una tomba per le lucciole, da quella che sembra a tutti gli effetti una fine; è chiaro fin da subito che non si tratta di un “E vissero tutti felici e contenti”, anzi possiamo eliminare anche qualsiasi speranza di “e vissero”.
La natura del racconto ci viene presentata quasi come una fotografia che arriva direttamente dal 1945, a meno di un mese dalla fine del più grande conflitto al quale il mondo abbia mai assistito.
Il 2 settembre infatti il Giappone firma la sua resa incondizionata ponendo un punto e dando una data ufficiale alla conclusione di un conflitto che conta solo in Giappone più di 700.000 morti tra i civili.
Ma i sopravvissuti non hanno ancora finito di fare i conti con la guerra e, come spesso accade, a pagare il prezzo maggiore sono i più deboli.
L’anonimato della morte
Degrado e indifferenza ci accolgono all’inizio della pellicola, dove vediamo un ragazzo consumato nella carne e logoro nei vestiti. Sta morendo di stenti nel pieno centro di una stazione nell’ora dove questa è più piena, sotto gli occhi indifferenti della gente.
Qualcuno lo nota è commenta frettolosamente:
“Accidenti che schifo” “Ah, che sporcizia” “È vergognoso” “Ma sarà morto?” “Bho!”
A nessuno importa, è solo un altro vagabondo, un altro vagabondo che muore.
Il ragazzo non sa che giorno sia e mentre una mosca brama la sua carcassa poggiandoglisi sul viso, lo sentiamo pronunciare le sue ultime parole: “Setsuko”.
L’arrivo degli inservienti segna la fine della giornata, sbrigativamente uno di questi ci conferma che è morto e che non è neanche il primo.
“Ah ci risiamo, anche questo ha tirato le cuoia […]”
Sullo sfondo almeno altre 4 persone il quale destino è facilmente prevedibile. Non sappiamo chi siano, non sappiamo quanti ce ne siano, moriranno senza che nessuno conosca il loro nome, senza che nessuno conosca la loro storia.
Se non ne conosciamo le storie è più difficile provare compassione per le vittime.
L’esultanza del non riconoscere nei morti qualcuno caro, qualcuno che non sia “nostro”, ci fa comprendere il quadro dell’amaro sollievo delle morti altrui, durante la guerra.
Dietro ogni morto c’è però un padre, una madre, un amico, qualcuno che mancherà a qualcun altro.
Vedremo poco dopo sulla riva di un fiume dove i cadaveri si ammassano, un uomo esultare nel non riconoscere sua zia in un cadavere.
“Non è lei! Non è nostra zia.”
L’anonimato della morte si nutre di grandi numeri e ogni cadavere lo alimenta.
Ma Isao Takahata vuole raccontarci una di queste storie, la storia di 2 su quasi 700.000. Sì perché il contesto storico nel quale si sviluppa la vicenda lo conosciamo bene, ne conosciamo le date, le ragioni, i nomi delle città; li abbiamo studiati per anni su freddi libri di scuola, fino a impararli quasi a memoria e immaginarli distanti.
Ecco, Una tomba per le lucciole è la storia di due bambini, i protagonisti infatti hanno solo 14 e 4 anni; è la storia di due fratelli con un nome, di due figli di una madre e di un padre.
Una storia della quale conosciamo dal principio il finale e che non possiamo fare altro che ascoltare senza farci inutili speranze.
Cercheremo dunque per tutta la durata della stessa di dare un senso alla loro morte, provando egoisticamente ad alleggerire il nostro cuore e pregando che trovino un po’ di serenità durante il loro ultimo viaggio.
Una tomba per le lucciole non è una favola e come abbiamo già detto il lieto fine non è previsto.
In viaggio verso la serenità
Due viaggi dal percorso non scritto alla ricerca di una serenità mancata, niente di più, passo dopo passo sempre mano nella mano. Due percorsi paralleli che si incontreranno su di un treno.
“Un giorno la andremo a trovare. Setsuko ricordi il cimitero quello grandissimo che è alla periferia di Nunobiki? La mamma riposa lì, sorellina […]”
Un viaggio che insegue la serenità così come in vita, così come nella morte. In una tomba per le lucciole fin dall’inizio vediamo infatti i due fratelli avvolti da una luce tendente al rosso, indice della loro forma da morti, incamminarsi verso una destinazione che ancora non conosciamo; sembrano sapere dove andare. Seita e Setsuko da vivi invece, per quasi tutta la durata del film non avranno una meta fisica e del tutto definita da raggiungere, sappiamo solamente che una volta persa la loro casa sotto un bombardamento dovranno andarsene.
Più volte si domanderanno dove, per poi giungere alla conclusione che l’unico luogo dove vogliano stare è un luogo dove poter vivere serenamente.
Il viaggio verso l’agognata serenità li porterà prima da una zia resa debole nello spirito dalla guerra, a un mare cristallino al quale sogneranno di ritornare e infine alla riva di un lago dove penseranno di poter vivere, ma dove invece Setsuko troverà la morte.
Una anormale normalità
I presupposti storici sono chiari e non hanno bisogno di troppe indicazioni, tanto che a volte passano quasi in secondo piano. L’intenzione di Takahata, con una tomba per le lucciole, non è quella di farci una lezione di storia. Elementi come i continui bombardamenti, le sirene, gli ospedali di fortuna e i rifugi sono sono facilmente attribuibili ad altrettante guerre.
Ma non bisogna però confondere la narrazione con la finzione e Takahata ce lo ricorda inserendo abilmente elementi realistici all’interno della sua storia.
- Bombe dal peso di 250 Kg
- 21 settembre
- 7’000 yen
Sono numeri, sono date, sono soldi. Elementi che a tratti stonano con la narrazione, ma che proprio per questo assumono un’ incredibile funzione referenziale.
Quello che vediamo e che ascoltiamo diventa improvvisamente quantificabile; come quantificabile diventa concreto e assume una forma quasi tangibile nel nostro immaginario.
L’infanzia negata
Il debole tentativo da parte di Seita di provare a proteggere la sua sorellina è perfettamente rappresentato nell’ombrello con il quale i due provano a ripararsi invano dalla pioggia.
Seita insegue il tentativo disperato di proteggere l’infanzia e l’innocenza della sorellina, per farlo ha pochi mezzi e poco tempo, la morte cammina a fianco a loro.
Ovunque bambini costretti a crescere troppo in fretta ai quali vengono strappati via i genitori, non a caso durante la pellicola ne troveremo diversi che somiglieranno alla piccola Setsuko.
La stessa zia, mostratasi misericordiosa inizialmente, si inasprirà sempre di più nei loro confronti, per proteggere se stessa e i suoi cari.
La fame e la paura da sempre mutano gli uomini, la carità soccombe dinanzi allo spirito di sopravvivenza e lo stesso Seita si farà ladro per proteggere la piccola Setsuko.
Seita ha fatto di questo la sua unica missione e non dimostra quasi mai l’età che ha. Ci ricordiamo solo a tratti che anche lui è un ragazzino, quando lo troviamo ad esempio nella stanza a casa della Zia a leggere i fumetti o concedersi qualche momento di spensieratezza al mare.
Lo stesso mare dove un cadavere riposa poco distante da loro.
Una tomba per le lucciole si lascia raramente andare a ricordi di periodi felici, ma ogni volta che i suoi tormenti trovano tregua le sirene squarciano il cielo e lo riportano alla realtà.
Una fede cieca verso il governo, che tutto andrà per il verso giusto, sperare che il padre tornerà a prenderli, tutto questo lo aiuta e gli da forza. Si convince che non potrà essere così per sempre e del fatto che questo sia solo un periodo passeggero, ma la guerra continua e la sua speranza inizia a vacillare. Lui che non ha versato una lacrima nel salutare sua madre e che si è sempre mostrato forte, inizia a crollare. Pian piano prende coscienza della realtà. Non è più un bambino ormai da tempo, per quanto lo desideri non può proteggere sua sorella. Seita infatti si lascerà morire una volta persa la sua unica e ultima ragione di vita.
Convivere con la morte
L’orrore della guerra affonda le sue radici nel suo stravolgere le abitudini e consacrarsi a nuova normalità, fatta di morti sul ciglio della strada, povertà e fame.
Takahata non ha bisogno di esasperare orrore e atrocità, gli basta disegnarli fedelmente, ed è proprio per questo che il suo messaggio ci arriva diretto, immediato e forte come un pugno nello stomaco, come quando vedremo la piccola Setsuko morire di fame succhiare una biglia immaginandola come una caramella, dopo che Seita aveva provato a nutrirla con il ghiaccio.
Ovunque famiglie spezzate nelle quali Seita si imbatte, storie che proseguono a se stanti e che a volte restano sullo sfondo. Le vediamo spesso un attimo prima che Seita entri in scena, per poi lasciarsele alle spalle e proseguire per il suo percorso. Ognuno con la sua storia, perché quello che non abbiamo detto è che l’anonimato della guerra non riguarda solo i morti, ma anche i sopravvissuti.
Fragili come lucciole
“Che cosa fai?”
“Scavo una tomba per le lucciole. Anche la nostra mamma adesso è dentro una tomba, vero?”
Gli uomini possono essere uccisi con la stessa facilità con la quale lo sono gli insetti e da morti puzzano allo stesso modo.
Le mosche capiremo poi essere presagio e conferma di morte. Takahata non ci fa sconti e ci mostra come queste attendano la morte del corpo per farne dimora per le proprie uova.
Due volte le vediamo posarsi su un corpo vivo, quello di Seita all’inizio e su quello della bambina verso la fine. Per tutta la pellicola siamo stati inavvertitamente educati ad associare la mosca alla morte così, quando troviamo il corpo della bambina sul prato, tratteniamo il fiato, fin quando Seita con la mano scaccia la mosca insieme alla fine e disperato la porta dal medico.
La mosca però ha capito prima di Seita che quel fragile corpicino sta morendo; la conferma ci arriverà poco dopo: “Malnutrizione” sentenzierà il medico, senza scomporsi.
L’abitudine alla morte di chi vive la guerra spoglia quasi le persone del loro essere umani. Ci è più che evidente quando un uomo dà le indicazioni a Seita su come cremare al meglio una bambina.
La stessa bambina che per il fratello era tutto, agli occhi dell’uomo non è nient’altro che una delle innumerevoli vittime della guerra.
“Se si tratta di una bambina potresti cremarla in un angolo del tempio. Se le togli i vestiti e accendi il fuoco con delle bucce di fagioli brucerà benissimo. Oggi è una bellissima giornata!”
L’uomo, mentre dice tutto questo, sorride.
La malattia silenziosa
Una malattia silenziosa che logora prima dentro e poi fuori.
La malattia della madre ci viene introdotta, in una tomba per le lucciole, quando Seita le ricorda di prendere la sua medicina. Capiremo dopo trattarsi di un tumore. Non sarà però questo a ucciderla, ma una delle bombe degli americani. Setsuko che invece sopravvive al bombardamento si ammala, di una malattia che silenziosamente cresce e si nutre ironicamente della sua fame.
Seita non è l’unico a cambiare, la stessa Setzuko che durante la prima parte abbiamo sentito lamentarsi per cose che sono assolutamente adeguate alla sua età, come l’essere stanca, o il dover andar in bagno, tace la sua condizione.
Il prurito prima,le bolle poi, i pidocchi e infine la dissenteria.
La guerra proprio come le malattie non fa distinzioni, che si tratti di un malato di tumore, di una bambina o di un ragazzo di 14 anni alla stazione ferroviaria.
…e infine le lucciole
Setsuko è morta, le sue ossa sembrano candele sciolte e la sua anima pare volare al cielo insieme alle lucciole.
Forse anche per questo Takahata ci mostra all’inizio di una tomba per le lucciole la triste morte di Seita, per concederci almeno un respiro conclusivo, fatto di malinconico sollievo e sofferta pace, nel vedere i due bambini finalmente sorridenti insieme, da morti.
Takahata non ha bisogno di colorare la sua storia con falsi artifizi, gli scenari di guerra lasciano posto a tavole che copiano la natura, dove ritroviamo la reale bellezza di questo mondo.
Lo stesso cielo fittizio che Seita ricrea nel rifugio di fortuna assume un’immagine che in realtà per loro è vera, perché se anche lo abbiamo dimenticato gli occhi dei bambini filtrano la realtà e trovano il fantastico dove gli occhi degli adulti non riescono a vederlo.
Lo stesso cielo che si tinge di rosso sotto attacco, assume un colore tendente al blu nei momenti di tranquillità e quando le lucciole si confondono facilmente con le bombe, tutto quello a cui possiamo fare riferimento per distinguerle è proprio il colore del cielo.
Non a caso le lucciole sono da sempre legate all’aldilà e protagoniste di diverse leggende, ed è proprio a loro che Takahata affida la loro storia e la loro anima.
“Guardate ragazze, non è cambiato nulla.”
Asseriscono con leggerezza tre ragazze più fortunate che fanno ritorno alla loro casa.
Forse hanno ragione, forse non è cambiato nulla.
“Non è giusto, perché le lucciole muoiono così presto?”
Al momento nel mondo sono in atto più di 70 conflitti;
oggi nel mondo le lucciole continuano a morire.
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