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Heidi: La ricerca di se stessi attraverso il mondo che ci circonda

Contesto storico

Parlare di un’opera come Heidi senza analizzare l’importanza che ha avuto questa serie nel mondo dell’animazione giapponese, risulta dal mio punto di vista parecchio riduttivo, tanto più se pensiamo al fatto che oggi la serie in questione viene utilizzata spesso come esempio per farsi due risate sui social network.
Nel 1969 Calpis (una ditta che produce una bevanda gassata in lattina) cercava di promuovere i suoi prodotti, e alcuni produttori di anime cercavano uno sponsor. Venne dunque stretto un accordo commerciale tra Calpis e la Fuji tv per la realizzazione di una serie d’animazione all’anno.

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All’epoca la Fuji tv era in stretti rapporti con la Mushi Production, alla quale vennero così commissionate le prime serie, ovvero: Dororo, Moomin, Andersen Monogatari e Shin Moomin. Fallita la Mushi, la commessa della Calpis fu quindi girata alla Zuyio (successivamente Nippon Animation), che si orientò in modo definitivo verso i classici  occidentali della letteratura per ragazzi.

Il primo meisaku

Nel 1973 quella che qualche anno più avanti verrà chiamata come Nippon Animation, riuscì a coinvolgere Isao Takahata alla regia (per i pochi che non lo conoscessero, uno dei migliori registi dell’animazione giapponese ricordato per essere il fondatore dello studio Ghibli assieme a Miyazaki) e Yoshiyuki Tomino in veste di storyboarder (che diventerà padre del real robot con Gundam qualche anno più avanti).

La serie in produzione consisteva nell’adattamento del romanzo Heidi (1880), della scrittrice svizzera Johanna Spyri. L’adattamento televisivo di Heidi, a cui partecipò come animatore anche un giovane Hayao Miyazaki sotto la supervisione del veterano Yasuji Mori, venne alla luce nel gennaio del 74 ed è universalmente riconosciuto come il primo vero e proprio meisaku della storia. L’anime, infatti, gettò saldamente le basi contenutistiche per una lunga serie di opere d’animazione tratte dalla letteratura occidentale per ragazzi.

Il nonno di Heidi

Sulle Alpi svizzere negli anni trenta del XIX secolo, Heidi è rimasta orfana in tenera età e sua zia Dete si è presa cura di lei fino all’età di 5 anni fino a quando trova lavoro a Francoforte non potendosi più occupare della bambina. E’ quindi costretta ad affidarla all’unico suo parente ancora in vita, il nonno da tutti conosciuto come “il vecchio dell’Alpe”: un uomo burbero e misantropo che vive in una casetta di montagna isolato da tutti, nei pressi del paese collinare di Dorfli, presso Maienfeld.

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Il vecchio, soldato pensionato, prende in casa la bambina di malavoglia, ma la simpatia e l’innocenza di Heidi hanno subito la meglio della sua ruvida scorza di montanaro.
La cosa che colpisce immediatamente lo spettatore è l’estrema vivacità della protagonista, che ritrova in questa situazione un luogo a cui appartenere, in cui si sente se stessa e può esternare senza freni inibitori la sua felicità. Il rapporto, inizialmente freddo, inizia a scaldarsi ben presto ed i due ritrovano a vicenda una sorta di famiglia che fondamentalmente non hanno mai avuto, chi per diffidenza verso le persone e chi ovviamente per pura casualità.

La montagna protagonista e non solo palcoscenico degli eventi

In quest’ottica la montagna non è semplicemente il palcoscenico su cui Heidi si muove, ma diventa un vero e proprio protagonista in cui i vari personaggi, ritrovano la loro essenza in una vita sicuramente difficile per certi versi, ma genuina, vera.

Quanto il luogo che ci circonda influenza la nostra felicità? Questa domanda ce la faremo diverse volte durante la visione di Heidi, ed è una tematica molto cara alla poetica di Takahata. Basti anche soltanto pensare a Pioggia di Ricordi, film dello studio Ghibli in cui una donna adulta ritrova se stessa proprio fuggendo dalla monotonia della vita in città che la aveva in qualche modo ingabbiata.

La regia di Takahata non fa altro che rimarcare questo concetto, andando ad enfatizzare tutti quei paesaggi delle Alpi tramite lenti movimenti di camera atti a dare quel senso di maestosità della natura. Le colorazioni suggestive dei fianchi delle montagne durante i tramonti, i cambiamenti repentini delle condizioni atmosferiche, il cambio della natura al mutare delle stagioni; tutte cose a cui Takahata fa moltissima attenzione e che enfatizza il più possibile, dando la stessa importanza che si dà ad un personaggio in carne ed ossa.

La malinconia di Francoforte e l’entrata in scena di Clara

Dopo diversi episodi in cui Heidi si è abituata ormai alla vita in montagna, avendo trovato la sua posizione all’interno del mondo anche grazie ad una presenza genitoriale che non ha mai avuto, la zia Dete decide di portarsela via a Francoforte per farle svolgere il compito di “dama di compagnia” di una ragazzina di nome Clara, facente parte di una famiglia molto ricca.
I toni della serie cambiano drasticamente e la spensieratezza ed il virtuosismo registico di Takahata, lasciano il posto alla malinconia ed alla tristezza di aver lasciato quello che era a tutti gli effetti il luogo di appartenenza della protagonista.

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Il rapporto con Clara però è da subito positivo per entrambi i personaggi; Clara è una ragazzina molto intelligente, educata e dotata di una grandissima sensibilità, ma al tempo stesso è un personaggio molto chiuso in sé stesso. Non solo a causa della malattia che le impedisce di camminare, sembra proprio essersi chiusa in se stessa in un mondo privo di qualsivoglia stimolo, ma allo stesso tempo sicuro da qualsiasi pericolo o minaccia.

Chiusa in gabbia

Interessante notare il parallelismo che fa la stessa Clara nei confronti del suo animale di compagnia, ovvero un uccello rinchiuso in gabbia: nel momento in cui Heidi le fa notare che l’uccello in quel modo non sta vivendo la sua vita e che dovrebbe essere libero di volare nel cielo, Clara a invece le dice che quell’uccello si è ormai abituato a quel tipo di vita e che non sarebbe in grado di vivere autonomamente come tutti gli altri uccelli. Un po’ come lei stessa, che si sente sicuramente limitata dal tipo di vita che fa ma al tempo stesso si sente sicura, protetta.

In tal senso l’educazione familiare e più precisamente della governante Rottenmeier, hanno contribuito moltissimo alla chiusura della ragazzina ed alla perdita di una qualsiasi voglia di provare a vivere veramente. Al tempo stesso, però, è stata anche una forma di protezione verso una ragazzina malata e sicuramente impossibilitata nel fare tutte quelle cose che fanno gli altri ragazzini a quell’età.

Il ritorno in montagna e la crescita di Clara

La lunga permanenza nella città di Francoforte della protagonista, nonostante la vicinanza con quella che è diventata la sua migliore amica, diventa una vera e propria tortura. La protagonista viene avviluppata da una tristezza indescrivibile, tale da indurla ad avere dei sogni ricorrenti della sua casa in montagna; la sua voglia di ritornarci diventa palese, nonostante non voglia darlo molto a vedere per non causare la sofferenza di Clara dovuta ad un’eventuale separazione delle due.

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Ad un certo punto però la cosa diventa così palese che Heidi non può fare a meno di ritornare e di salutare la sua amica, invitandola comunque ad andarla a trovare in futuro. Ed è qui che assistiamo a quella che è l’evoluzione del personaggio di Clara che pian piano uscirà dal suo guscio ed inizierà a voler vivere il mondo esterno senza la paura che aveva sempre avuto.

La montagna diventa quindi simbolo di libertà per Clara; una vita che (seppur limitata a qualche mese di permanenza) le insegna a vivere in maniera sicuramente meno comoda e meno sicura, ma al tempo stesso quel dover contare sulle proprie forze diventa un modo per temprarsi.

Conclusione

Dal mio punto di vista Heidi non è soltanto una delle serie animate più importanti della storia, ma è anche un’opera deliziosa, nostalgica e atmosferica. La genuinità dei personaggi e delle situazioni rendono immediato il coinvolgimento dello spettatore,  a mio parere tutti elementi che rendono la serie ancora attuale e meritevole di essere riscoperta anche da quelle persone che sono abituate a vedere solamente serie moderne.

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C’è da fare inoltre un piccolo appunto per quanto riguarda le musiche originali giapponesi, sostituite nelle varie versioni europee da una colonna sonora composta da un compositore tedesco. La cosa in realtà era abbastanza frequente ai tempi e la scelta fu figlia del voler introdurre delle musiche dall’atmosfera più “locale”.

La qualità di entrambe le colonne sonore è sicuramente altissima, motivo per cui penso sia abbastanza indifferente preferire l’una o l’altra versione. Dal mio modestissimo punto di vista, consiglio sempre la versione originale, pensata appositamente per questo tipo di opera dagli autori stessi.

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Tommaso Felici

Tommaso Felici

Sono veramente euforico

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