Botte & Mazzate, Calci & Ceffoni
Per tutto questo tempo ho ragionato, ho pensato e macchinato, fino a giungere ad un’unica ed evidente risposta: il senso della vita sono le botte.
Perché da piccoli abbiamo spaccato la credenza di Zia Gertrude? Per essere picchiati.
Perché da adulti ci ubriachiamo fino a diventare eccessivamente molesti? Per essere picchiati di brutto.
E perché io sto scrivendo quest’articolo? Per picchiare uno di voi.
L’arte alimenta la nostra vita con le sue più notevoli espressioni, arricchendoci interiormente con esperienze di grande valore; tuttavia, più si scava in profondità, più l’attrazione che esseri viventi con o senza cazzo provano per la genuina violenza di una sacrosanta scazzottata viene fuori in tutta la sua magnificente bellezza.
Da ragazzo ho letto qualsiasi battle reperibile in una lingua a me non aliena, e dunque ero abbastanza sicuro di non aver più bisogno di vedere due energumeni picchiarsi su carta o in animazione; il pensiero di un babbione convinto di aver raggiunto il nirvana perché apprezza le cose belle e non ha quindi bisogno di quelle che appaiono più sciatte e meno cerebrali. Se c’è una cosa di cui questa vita bugiarda ha davvero bisogno, quella è la naturalezza di un sano scontro a nocche crude tra persone che non hanno nulla da guadagnare se non la gloria di essere forti.
Manga di Botte nasce per soddisfare quella necessità, mettendo da parte per un secondo le onde energetiche e i power-up casuali per abbracciare un ritorno a quelle mazzate primordiali che tanto rispondono all’istinto di spaccare tutto proprio dell’adulto stressato dalla vita. Non crediate però che i titoli presentati in questa rubrica siano esclusivi per un pubblico adulto o che possano rappresentare l’apice del realismo: qui si parla di botte, ragionate e plausibili o esagerate e fuori di testa che siano.
Baki, il Grappler
Come qualunque uomo di cultura già sa, non c’è modo migliore di introdurre qualcuno alla visione giapponese delle botte a fumetti se non sfruttando Baki The Grappler di Keisuke Itagaki: la recente trasposizione animata della seconda serie (di cui a breve uscirà su Netflix la “seconda parte”) è stata un’apripista ideale per discutere di quanto questo manga, destinato a non arrivare probabilmente mai sui nostri scaffali, rappresenti uno dei titoli più influenti nel suo genere.
Siamo nel ’91 e la Seidokaikan Karate di Kazuyoshi Ishii, nota organizzazione da cui è anche derivato il torneo di kickboxing K-1, tiene la prima “Karate World Cup”; capendo i tempi alla perfezione, nel primo capitolo di Baki The Grappler una giovane cintura bianca riesce ad arrivare alle finali di un torneo nazionale, sbaragliando gli avversari con una bella faccia tosta. Baki Hanma è un ragazzo delle superiori, beve la bevanda nera con le bollicine durante gli intervalli e riesce a sconfiggere senza eccessive difficoltà il giovane campione della scuola Shishinkai. La realtà pubblica delle arti marziali, fatta di regolamentazioni e classi di peso, viene presto sostituita da un’arena al di sotto del Tokyo Dome in cui i combattenti abbandonano ogni limitazione per stabilire con chiarezza quale tra i due possa essere definito “il più forte”. A quella che è una forza apparente, repressa dalla civiltà, si contrappone la brutale semplicità della violenza, che non prevede sovrastrutture o motivazioni. E Baki ne è il campione.
Le ingenuità di un battle manga ancora giovanissimo si rivedono inizialmente anche nel lavoro di Itagaki, che tra karate e wrestling sfrutta le discipline più di tendenza per inscenare sfide tra stili di lotta differenti prive tuttavia di una grande enfasi narrativa; si tirano già dei gran cartoni in bocca, gli avversari sono giganteschi e letali, eppure manca lo stesso quell’elemento distintivo che rende imponente la personalità di un fumetto di genere. E quando è il momento di chiedersi se ci sarà mai un salto di qualità, fa il suo ingresso in scena Yujiro Hanma, l’essere vivente più forte del pianeta e padre del protagonista.
Combattere per vivere, vivere per combattere
Chi apprezza le discipline di combattimento al punto di volerle praticare a livello anche solo amatoriale deve spesso scontrarsi con una certa incapacità di capire cosa ci sia di soddisfacente nel subire contusioni, tagli e nei casi peggiori pure serie complicazioni al cervello; il desiderio di battersi a mani nude è tuttavia una sensazione intensamente personale, impossibile da spiegare a parole. Per questo nel fumetto per ragazzi viene banalizzato, abbellito di tante piccole fantasie e di motivazioni grandiose per diventare accessibile ad un pubblico che già sente il fuoco dentro ma non ha ancora visto abbastanza del mondo per capirlo.
Il combattimento a suon di power up dà stimoli genuini fin quando si è ancora “costretti” a concepirlo come un elemento di intrattenimento appartenente solo alla finzione; quando però si guarda con attenzione alle analogie che un’artista marziale traccia tra la sua vita privata e la sua carriera si arriva comprendere qual è il significato più diretto di uno scontro a mani nude.
Yujiro Hanma, in tutta la sua imponenza, è la rappresentazione ancor più primordiale di un concetto anticipato dal classico Ashita no Joe: combattere per vivere, vivere per combattere. Essere nati per quello scopo e perseguirlo fino all’ultimo giorno. Il contesto sociale e culturale, importantissimo nell’opera di Asaki Takamori e Tatsuya Chiba, viene però azzerato per presentare tale realtà come appartenente all’essere umano in toto; qualsiasi esperienza, dal superare un esame al risolvere un problema lavorativo, è una lotta in cui vincere vuol dire essere capaci di andare avanti. E chi si ferma, per anche un solo secondo, perde.
Nell’economia di Baki the Grappler, tale visione si riflette nel burrascoso rapporto che l’ineducato protagonista intrattiene con la sua figura paterna: tutto il suo percorso di vita, infatti, è da sempre stato indirizzato al migliorarsi costantemente per poter essere un giorno capace di battersi alla pari con quel mostro che lui chiama “papà”. Yujiro non è quel banalissimo villain tutto forza e cattiveria che monopolizza la scena per qualche arco narrativo e poi scompare per far spazio ad uno successivo ancor più malvagio; la sua potenza è infatti un assoluto che percorre tutte le serie di cui è il manga è composto, arrivando anche ad imporsi sullo strapotere americano (con tanto di Bush e Obama che stringono con lui un “patto d’amicizia”) e a condizionare qualsiasi combattente di livello. Il combattimento, dunque, perde il suo valore di puro intrattenimento e viene contaminato dai fattori più genuini della vita, che siano trovare il proprio ruolo nel mondo o sfidare i propri limiti per crescere.
Muscoli & Immaginazione
Come si racconta, tuttavia, la grandezza tematica di un combattimento? Akira Toriyama e i suoi epigoni risponderebbero definendo una netta divisione tra bene e male infarcita di buoni sentimenti e valori basilari, mentre Itagaki dando sfogo ad una quantità di intuizioni interessanti che poggiano sulla forza espressiva della narrazione a fumetti. Molte volte per presentare un personaggio vengono adoperati diversi punti di vista, storie raccontate da testimoni della forza di quel dato combattente che suonano come miti e leggende; il confine tra verità ed esagerazione sembra sempre molto labile, eppure l’intensità con cui tali dimostrazioni di forza (leggasi rissa in qualsiasi posto esistente) si inseriscono nella vita monotona di persone comuni porta l’assurdità ad assumere toni quasi “epici”.
E sulla forza del racconto, su quell’immaginazione che dà vita a qualsiasi cosa, Baki basa una parte molto importante della sua crescita come lottatore e come persona: la shadowboxe praticata da ogni combattente per immaginarsi il combattimento col prossimo avversario diviene, per il campione dell’arena sotterranea, uno scontro reale con tanto di sangue ed occhi neri. Ha bisogno di combattere con la creatura vivente più adatta a battersi? Ecco concretizzarsi una mantide religiosa di 100 chili, l’essere più funzionale al combattimento che esista (e se non ci credete, Itagaki vi spiegherà il perché). Il suo intenso desiderio di combattere, che è allo stesso tempo brama di vivere e conoscere, prende vita nella solidificazione di ciò che Baki pensa: tutto avviene nella sua mente, ma è tanto intenso e dettagliato che sfonda i limiti della fantasia e diventa tangibile, presente.
Il protagonista vuole conoscere, vuole scoprire e confrontarsi con la realtà, che diventa più nitida di serie in serie; la scoperta dell’amore, la volontà di capire il padre e il rispetto degli altri combattenti sono tasselli che si aggiungono ad un personaggio inizialmente ganzo e invincibile, successivamente umano e fragile. La cultura e gli aspetti sociali invadono la crescita di Baki, dando sfogo alla creatività di Itagaki nello snocciolare informazioni interessanti con cui spiegare singole situazioni dei combattimenti (come l’aneddoto di Kimo Leopoldo che pesta di brutto il leggendario Royce Gracie perché gli aveva dato uno schiaffetto), oppure spiegazioni scientifiche su come cose impossibili stanno accadendo.
Il più forte
Giunto alla sua quinta serie, il manga di Baki the Grappler ha continuato ad evolversi fino a trovare una sua forte unicità, mantenuta e potenziata nel corso degli anni; da singoli combattimenti contro wrestler e karateka, lo scontro è diventato uno soltanto e ha preso il nome di “vita”. Da anni Itagaki segue un percorso, assieme ai personaggi e ai lettori: un percorso netto e preciso verso la definizione di cosa vuol dire essere forti.
Sarà forse picchiare qualcuno? Essere ricchi? Avere influenza?
Il potere non ha sede, e al tempo stesso è dappertutto.
Tocca all’essere umano saperlo usare.
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