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Ultima Thule, la “nocciolina” a 6 miliardi di km dalla Terra a cavallo tra mito e scienza

Il nuovo anno si apre all’insegna dell’esplorazione spaziale.

Dopo averci mostrato il volto di Plutone, in seguito a 9 anni di lunga traversata fino ai punti più reconditi del nostro Sistema Solare, la sonda New Horizons nella notte di Capodanno ha finalmente raggiunto l’asteroide 2014 MU69, sorvolandolo a soli 3500 km di distanza alla vertiginosa velocità di 51.000 km/h.

Il mito

Scoperto dal telescopio spaziale Hubble proprio nel 2014, il corpo celeste, è stato soprannominato Ultima Thule in riferimento alla leggendaria isola di Thule, citata per la prima volta nei diari di viaggio dell’esploratore greco Pitea, salpato da Marsiglia verso il 330 a.C. per un’esplorazione dell’Atlantico del Nord. Nei suoi resoconti si parla di Thule come di una terra di fuoco e ghiaccio nella quale il sole non tramonta mai, a circa sei giorni di navigazione a nord dall’attuale Gran Bretagna. Oggi alcuni pensano che questa isola mitologica sia in realtà l’Islanda.

Ultima Thule

Thule raffigurata nella Carta marina di Olao Magno (del 1539). L’isola è chiamata “Tile”. Accanto all’isola sono raffigurati un “mostro visto nel 1537”, una balena, e un’orca.

Successivamente il mito di Thule è stato ripreso dal poeta latino Virgilio che parla dell’Ultima nel senso di estrema, riferendosi cioè all’ultima terra conoscibile, il cui significato nel corso dei secoli è traslato fino a indicare tutte le terre “al di là del mondo conosciuto“.

La scienza

Ma abbandoniamo un attimo le storie del mito per concentrarci sull’impresa titanica della sonda New Horizons. La sonda, sviluppata dalla NASA per l’esplorazione di Plutone e del suo satellite Caronte (e che contiene una parte delle ceneri di Clyde Tombaugh, l’astronomo che nel 1930 scoprì Plutone, un cd-rom con i nomi di 434 000 persone che si sono iscritte al progetto, due monete, due bandiere degli Stati Uniti e un francobollo del 1991 che recita: «Plutone: non ancora esplorato») è stata lanciata 19 gennaio 2006 dalla base di Cape Canaveral e ha sorvolato il pianeta nano il 14 luglio del 2015. Dopodiché ha continuato la sua missione, che prevedeva anche la ricerca di atmosfera attorno a Caronte, lo studio dei quattro satelliti minori StigeNotteCerbero Idra, la ricerca di eventuali satelliti o anelli sconosciuti e l’analisi di ulteriori oggetti della fascia di Kuiper.

Ed è proprio nella fascia di Kuiper che la sonda ha avvicinato Ultima Thule, regalandoci un primo affascinante e sensazionale scatto della sua morfologia. Le difficoltà non sono di certo mancate. Immaginate una sonda che prova (e riesce!) a fotografare un corpo celeste grande appena 33 km in un ambiente dove l’illuminazione solare è quasi 2000 volte più debole di quella della Terra.

ultima thule

L’immagine (realizzata combinando la foto in bianco e nero scattata dalla camera principale di New Horizons, LORRI, con tre immagini nei colori primari realizzate dallo strumento Ralph MVIC) ritrae Ultima Thule ad una distanza di 137.000 km, circa due ore prima il momento di massimo avvicinamento della sonda.

Le ipotesi

Dallo scatto è evidente che 2014 MU69 è formato da due corpi celesti fusi tra di loro, in una forma che ricorda molto quella di una nocciolina. I dati raccolti dalla sonda indicano che il corpo ha un periodo di rotazione di circa 15 ore e una densità vicina a quella dell’acqua, caratteristiche che potrebbero far sembrare Ultima Thule come una mini-cometa. Tuttavia, l’assenza di crateri da impatto e di altre grandi deformità (se non alcune piccole collinette alte qualche centinaio di metri) ci lascia pensare che il corpo sia rimasto pressoché intatto dal momento della sua formazione, che potrebbe essere avvenuta solo qualche centinaio di migliaia di anni dopo la nascita del sistema solare!

ultima thule

A sinistra, la prima foto inviata da New Horizons. A destra, un modello che indica la posizione dell’asse di rotazione, con il verso indicato dalla freccia.

Inoltre, la forma quasi sferica delle due parti che lo compongono, “Ultima” la più grande e “Thule” la più piccola, suggerisce che l’oggetto si sia formato per aggregazione di frammenti ancora più piccoli provenienti dallo stesso grumo di materia che, lentamente e nell’ordine dei pochi km/h, si sono avvicinati fino a toccarsi. Ultima Thule per caratteristiche e morfologia potrebbe essere quindi identificato come un planetesimo, ovvero un corpo che si pensa abbia costituito lo stadio intermedio di aggregazione della polvere e dei gas della nebulosa solare primordiale, nel corso del processo che ha poi condotto alla formazione dei pianeti.

«Ad aspera per astra»

Restiamo in attesa dell’enorme mole di dati che la sonda trasmetterà al Controllo Missione nel corso delle prossime settimane, per il cui studio sono previsti oltre 20 mesi di lavoro. Per adesso non possiamo che essere d’accordo con Alan Stern, principal investigator di New Horizons, che durante la conferenza stampa ha annunciato «Ultima Thule rivoluzionerà la nostra conoscenza della planetologia».

FONTI: 1, 2, 3, 4

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Gabriele Pati

Gabriele Pati

Cresciuto con libri di cibernetica, insalate di matematica e una massiccia dose di cinema e tv, nel tempo libero studia ingegneria, pratica sport e cerca nuovi modi per conquistare il mondo. Vanta il poco invidiabile record di essere stato uno dei primi con un account Netflix attivo alla mezzanotte del 22 ottobre 2015.

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