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Gli anime spingono al suicidio?

La cultura pop è il male!

Che la cultura pop abbia assunto dimensioni veramente notevoli è assodato tanto quanto l’incapacità dei mediium comunicativi contemporanei di comprenderne le varie sfaccettature e tenerne il passo. Le numerose discussioni sulla presunta violenza che i videogiochi causerebbero nell’utente ci hanno illustrato come il giornalismo non punti a capire la cultura che c’è dietro ad un settore, quanto più a demolirla perché non la percepisce altro che come una trivialità giovanile per la quale non c’è il bisogno di una reale preparazione; continuano ad esistere correlazioni inventate perché la stampa non si specializza, preferendo un approccio superficiale che sembra comunque adatto ad un campo del quale potrebbe parlare chiunque.
Può, però, essere un’agenzia di stampa statale ad avallare simili pratiche?
Qualche settimana fa la RIA Novosti, agenzia appunto appartenente allo stato, ha pubblicato un articolo di Yelena Ivanova, esperta del “Centro per la protezione dei bambini contro i pericoli del web”, in cui viene attribuito agli anime un ruolo di forte complicità nella questione dei suicidi giovanili. Pur evitando effettivi riferimenti, la Ivanova parla di show che hanno per protagonisti “omosessuali che fumano, bevono e si tagliano le vene”, avanzando la teoria che la sovraesposizione a simili prodotti e la creazione di gruppi di discussione porti i bambini ad isolarsi dalla realtà e a rispecchiarsi nei comportamenti dei suoi beniamini in quanto certi prodotti sono “pensati specificamente per questo tipo di bambini”.
Belle parole, al solito ricolme di una retorica moralista nei confronti dell’educazione infantile, ma perché quando si prova a fare certi discorsi non viene mai l’idea di fare prima una semplicissima ricerca su Google?

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Giusta intuizione o problematica ignoranza?

In Giappone la fascia oraria in cui un anime viene trasmesso ha molta più importanza di quanto sembriamo concederle: serie popolari come One Piece, Naruto o Doraemon, che hanno per target bambini e famiglie, vengono trasmesse la mattina o il pomeriggio, mentre tutte le serie pensate per adolescenti e adulti hanno spazio nello slot della seconda serata.
Cercando di identificare la produzione descritta dalla Ivanova con Banana Fish, il più vicino per caratteristiche, mi chiedo come sia possibile che un’esperta dotata di un certo studio e di una certa cultura non riesca a contemplare l’esistenza di target che delimitano cosa un bambino dovrebbe o non dovrebbe vedere; “prodotti pensati specificamente per questo tipo di bambini” non è un’affermazione semplicemente sbagliata, è il simbolo di come gli anime siano un oggetto misterioso anche per chi cerca di creare delle correlazioni comportamentali partendo dalle proprie basi conoscitive. Discorsi simili appaiono come fortemente faziosi perché piuttosto che spiegare in maniera esauriente dove sta il pericolo tentano tramite esempi di adottare un tono simil-apocalittico paradossalmente dannoso per il lettore più ignorante; la Ivanova porta infatti all’attenzione “del giudice” l’esperienza di Nastia, bambina di quinta elementare (quindi presumibilmente di 10/11 anni) che dopo aver visto un anime in cui fa la sua comparsa un personaggio dotato di superpoteri e voglia di ammazzarsi pur non potendo (suppongo si tratti di Osamu Dazai in Bungou Stray Dogs e quindi rido già), avrebbe iniziato a discutere con una community online dedicata a quello specifico anime e, spinta dai suoi membri, a disegnare immagini violente sotto minaccia (?).

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Dove sta in un simile pippotto la prova che gli anime spingano i ragazzini a suicidarsi? È responsabilità degli anime se una bimba di 10 anni accede su Crunchyroll e si guarda una serie chiaramente non diretta a lei, che ha per protagonisti delle figure letterarie per lei impossibili da riconoscere? Dazai tenta di uccidersi molto spesso perché la sua controparte reale, uno dei più grandi scrittori giapponesi di sempre, ci ha provato più volte e alla fine c’è riuscito; non è un elemento messo lì per attirare i ragazzini e dirgli “GUARDALO COM’È FIGO, SI VUOLE UCCIDERE!”, ha un senso ben preciso che a lungo andare diviene anche narrativo.

Le responsabilità dell’internet

A 10 anni NON si dovrebbe avere accesso a internet, e per quanto la situazione sia praticamente l’opposto bisognerebbe ribadire sempre più che internet non è sempre un bel posto e può riservarti davvero delle brutte esperienze; ma perché piuttosto che considerare questa eventualità un’esperta, una che ha studiato il comportamento online e che queste cose le sa, devia su un elemento soltanto collaterale? Se un ragazzino stronzo si diverte a pigliare in giro una bambina (perché di questo si tratta) è perché è stronzo, non perché fa parte di una community online dedicata ad un anime. Guardare con tanta paura e stranezza ad atteggiamenti estremamente diffusi per la rete come se fossero spuntati oggi è non solo assurdo e un po’ ridicolo, dà anche un’idea negativa per quel che riguarda chi si definisce esperto e poi casca dal pero per questioni tanto elementari che chiunque sia stato almeno 2 anni su internet potrebbe spiegare.
È legittimo allarmare un intero stato con delle tesi fallaci? Ogni altro articolo che parla di questa faccenda, inglese o italiano, tira in mezzo una probabile chiusura nei confronti degli anime da parte del governo russo; è ben più grave sotto un certo punto di vista che ad una simile affermazione, come avete visto così facilmente confutabile, non segua una risposta ponderata da parte della stampa specializzata, perché di fatto (e purtroppo) siamo ancora ben lontani da una sua esistenza.
Nonostante tutto, almeno, da questa faccenda si può cogliere un bel lato positivo: gli anime stanno incontrando le prime opposizioni internazionali, e quando succede una tale mobilitazione dei media è perché il fenomeno sta raggiungendo dimensioni troppo grandi per continuare ad essere ignorato.
Per cui, l’unica cosa che rimane da fare a noi appassionati è discuterne (in maniera civile) e confutare (in maniera civilissima e quando sbagliate) le posizioni degli esperti che non si premurano prima di capire la materia.

Fonti: Anime News Network
The Moscow Times

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