The Woman Who Fell To Earth
Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. No, non il momento di un Doctor Who, con un protagonista donna (quello fino a un paio d’anni fa non mi sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello). Ma da quando si è saputo del casting di Jodie Whittaker come nuova incarnazione del Doctah, dentro di me sapevo che, prima o poi, ne avrei dovuto parlare con qualcuno. Meglio ancora se, nel mentre e nell’attesa della nuova stagione, sono anche diventato caporedattore di una testata online tra le più fresh e innovative del panorama editoriale italiano. Ma non divaghiamo.
Sapevo che sarebbe arrivato questo momento, dicevo. Quello che ancora non sapevo era il modo il cui avrei parlato di questa nuova (e, sulla carta, strana) stagione. Tanto che, ancora prima che iniziasse la trasmissione, avevo già deciso di concedere la visione di due episodi. Vuoi perché, anche trattandosi di due episodi distinti, sapevo già che si sarebbe trattato, in un certo senso, di un’unica première, vuoi perché entrambi gli episodi sono scritti dal nuovo showrunner Chris Chibnall, vuoi perché non me la sentivo di dare un giudizio così importante dopo solo 50 minuti.
Un inizio difficile…
La verità è che dopo 50 minuti il mio giudizio era abbastanza negativo. Non che la prima puntata non mi fosse piaciuta, anzi. Solo che sembrava un altro show. Sembrava una bellissima serie fantascientifica britannica. Ma non sembrava il mio Doctor Who. Non sembrava quella serie che mi aveva fatto (re)innamorare della fantascienza. Che mi teneva incollato ogni settimana per 13 settimane e mi teneva in trepidante attesa il resto dell’anno. Che mi aveva ridato un motivo per aspettare il 25 dicembre da quando non credevo più in quell’omone rosso con la barba bianca. Perché diciamocelo, bello il cenone, belli i regali, ma vuoi mettere un divano, una tv, una cioccolata calda e lo special di Natale?
Le troppe insicurezze, debolezze e difficoltà di un Signore del Tempo appena rigenerato hanno giustamente dominato i primi minuti del tredicesimo dottore. Ma mentre il mistero di Nine, il fascino di Ten, l’eccentricità di Eleven e la cupezza di Twelve avevano permesso, fin dal principio, di inquadrare e determinare ogni incarnazione, in questo caso mancava, fin dai primi minuti, qualche segnale di quello che sarebbe potuto essere il leit motiv del personaggio. Un nemico poco caratterizzato ed una risoluzione frettolosa ed approssimata, lontana dai fasti geniali degli altri Dottori alle prese con i primi nemici hanno poi contribuito ad alimentare timori sulla qualità e l’anima dello show.
…ma è stato (quasi) subito amore
Ma allora cosa è scattato in questo secondo capitolo di questa undicesima stagione tanto da farmi superare paure, preoccupazioni e diffidenze, per poter affermare, come si evince dal titolo, la bontà di questa nuova serie?
The Ghost Monument (questo il titolo dell’episodio) è da considerarsi la vera première di questa stagione di Doctor Who. O, per meglio dire, il naturale prosieguo dell’episodio precedente, che lo completa e gli permette di dare un senso a questa nuova incarnazione. Fossero stati trasmessi back-to-back sarebbe stato, probabilmente, il miglior inizio di stagione dai tempi di The Eleventh Hour (ma magari di Matt Smith ne parliamo un’altra volta).
Alle insicurezze dei primi 50 minuti, infatti, si è subito aggiunto quel fattore “personale” (che io ho associato al senso di protezione e di sicurezza), che lega ogni Dottore al pubblico, che mi ha finalmente permesso di risentirmi “a casa”, di fronte a quello show che tanto amavo e aspettavo. Complice anche un’ambientazione più aperta, più colorata, più aliena. I grigi cantieri di Sheffild lasciano spazio alle colorate lande del pianeta Desolazione. Entrambe le ambientazioni sono tuttavia tetre e tristi e, nonostante il contrasto cromatico, sono legate a doppio filo da un nemico comune, che non fa altro che aumenta l’idea di dualità di questi primi due episodi.
Rigenerazioni e restyling
La gestione Chibnall, alla luce di questo inizio di stagione, è decisamente promossa, con buone aspettative per il futuro. Sembra di respirare i momenti puramente sci-fi di Davies senza i problemi di narrazione che hanno caratterizzato l’era Moffat.
Un Tardis completamente rinnovato, un nuovo cacciavite sonico (la cui realizzazione è una scena che vale, da sola, tutto il primo episodio) un debole ma enigmatico accenno di trama orizzontale e dei companion perfettamente caratterizzati e complementari e che, per una volta, non si fanno odiare (qualcuno ha detto Clara? Qualcun altro ha detto Bill?) sono tutti dei plus ad un inizio di stagione partito in sordina, ma che, col suo secondo episodio è rientrato perfettamente nello stile di Doctor Who.
Rinnovare senza stravolgere, si dice spesso. Sembra un controsenso dato lo stravolgimento totale dovuto al cambio di sesso del protagonista. Ma se si guarda la serie con la consapevolezza che dietro quel corpo femminile ci sono tutte le precedenti dodici incarnazioni (e non si fa fatica ad accettare la cosa, per tanti il problema è solo questo) allora ci si renderà conto dell’ottimo lavoro fatto da Chibnall e dal resto della produzione.
Col senno di poi posso felicemente affermare che non solo Doctor Who non è cambiato come tutti noi pensavamo sarebbe successo, ma che, sulla base di quanto visto, potrebbe addirittura essere meglio di quanto è stato in passato. Solo il tempo ci dirà come andranno le cose, peccato non avere una macchina del tempo per poterlo sapere già da subito (e far arrivare in un attimo domenica prossima, per vedere il prossimo episodio).
A voi sta piacendo questa nuova stagione? Cosa ne pensate di Jodie Whittaker? Ditecelo nei commenti!
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