L’algoritmo non aveva alcuna informazione di partenza ed è stato spinto a indagare il più possibile per simulare la curiosità
Negli ultimi mesi la ricerca nell’ambito dell’AI sta crescendo in modo esponenziale, ottenendo risultati stupefacenti. Quello che stanno provando a fare alcuni ricercatori, però, potrebbe andare addirittura oltre: inserire la curiosità negli algoritmi dell’intelligenza artificiale.
Come si fa a ottenere una cosa del genere? Semplice, con un cambiamento alla base. Tutti gli algoritmi sviluppati finora infatti, da quelli che si occupano di traduzione a quelli che forniscono indicazioni stradali, hanno un punto di partenza: i dati forniti dai ricercatori. In base a questi, i sistemi di intelligenza artificiale compiono tutte le analisi del caso e si migliorano autonomamente nel tempo; il tutto rimanendo però entro certi “binari”.
Bene, per simulare l’istinto della curiosità è sufficiente non fornire questi dati iniziali. O almeno questo è il presupposto su cui si basa l’esperimento.
L’esperimento
La ricerca è stata attuata dalla OpenAI, un’organizzazione no profit fondata da Elon Musk, Sam Altman e altri big della Silicon Valley. I risultati sono interessanti: senza dati di partenza, l’algoritmo è spinto a imparare in autonomia, proprio come se fosse guidato dalla curiosità.
Nel caso specifico, l’AI ha deciso – autonomamente, senza che nessuno la spingesse a farlo – di approfondire oltre 50 videogiochi, diventando anche piuttosto brava. In aggiunta a questo, l’algoritmo sembra essersi appassionato ai programmi TV.
Ma è tutto oro quel che luccica? Ovviamente no. L’intelligenza artificiale è spinta ad apprendere sempre più informazioni e questo la spinge a prendere decisioni poco “razionali”, come per esempio perdere volontariamente a un videogioco per vedere la schermata di game over – e acquisirne le informazioni – o fare zapping compulsivo per trovare contenuti video sempre diversi.
Sta di fatto che questa scoperta è sicuramente importante, forse non tutti si aspettavano che fosse possibile attribuire a un algoritmo alcuni istinti umani. A questo punto viene da chiedersi quali siano i limiti di questa tecnologia: sarà possibile perfezionare ulteriormente l’istinto della curiosità? Si potranno replicare i sentimenti? Ormai è lecito aspettarsi di tutto, soprattutto se – come in questo caso – c’è lo zampino di Elon Musk.
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