Boku No Hero Academia e lo spettro della censura
C’era una volta un palinsesto televisivo pieno di serie animate giapponesi, bambini seduti tutto il pomeriggio davanti al proprio televisore e discussioni quotidiane sull’episodio di turno. La felicità regnava sovrana in un’atmosfera di giocosa condivisione, ma un nemico terribile aspettava nascosto nelle tenebre: il tempo. La consapevolezza che un bambino può avere di ciò che guarda non è mai davvero completa, in quanto si tende ad avere una comprensione limitata ai propri interessi, la quale porta a ignorare la reale qualità di un prodotto. Ciò che era più difficoltoso notare, però, risiedeva in qualcosa a cui ora, volenti o nolenti, tutti cercano di far caso. Quel qualcosa, quel terribile elemento, risponde al nome di “censura”.
Il tempo, portatore della presa di coscienza
Crescere e diventare adulti consapevoli ha permesso alla totalità del pubblico italiano di rendersi conto di come ogni prodotto animato d’origine nipponica venisse tagliato e modificato in maniera tale da adattarsi a esigenze ancora non troppo chiare, specialmente quando il canale addetto alla sua trasmissione era tra le reti Mediaset. Trattasi nello specifico di Italia 1, maggiormente indirizzata ai giovani. Titoli stravolti, dialoghi dal significato totalmente differente rispetto all’originale, intere scene rimosse ed elementi di natura violenta o sessuale sostituiti grossolanamente.
Tutte queste cose all’epoca sfuggivano a un occhio poco attento, ma ora sono talmente tanto di uso comune da essere ricordate un po’ come si fa con il Fascismo, per non dimenticare un periodo buio della televisione italiana. Dopotutto, chi potrebbe mai rimuovere dalla mente capolavori artistici come “Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo per Rina” o “Una porta socchiusa ai confini del sole”? Nostro malgrado, queste trovate fanno parte della nostra storia televisiva, e non si può neanche dire che fosse colpa degli adattatori italiani in tutti i casi.
4Kids, il danno dell’intermediario
Per alcune serie (vedi Yu-Gi-Oh) la versione acquistata dalle reti italiane era già censurata di partenza dallo spauracchio 4Kids, vero nemico di chiunque volesse guardare un anime nella sua versione originale. Molto spesso, inoltre, le censure si limitavano a cambiare il colore del sangue e ad adattare contenuti violenti alla sensibilità di un bambino per evitare le classiche lamentele da catechismo delle madri indignate.
Nulla di molto differente da ciò che avveniva – e avviene tuttora – in Giappone (vedi Jotaro che fuma una sigaretta censurata in Stardust Crusaders, le barre nere di Tokyo Ghoul et simila). In molti hanno sempre trovato tali comportamenti ipocriti, perché provenienti da una rete televisiva che non si preoccupava di mostrare i provocanti balletti di Raffaella Fico in prima serata. Tuttavia, è un discorso che non porta da nessuna parte, essendo due fasce orarie completamente differenti.
Censura, quando è necessaria l’intransigenza?
Ciò su cui realmente non si dovrebbe transigere sono quelle modifiche radicali, tese a modificare l’intero senso di una storia per una scena incensurabile o, anche peggio, una precisa volontà dell’autore. Kunihiko Ikuhara, regista famoso per La rivoluzione di Utena e il più recente Mawaru Penguidrum, spinse molto, durante la terza serie di Sailor Moon da lui diretta, sul rapporto omossessuale tra le due eroine Sailor Uranus e Sailor Neptune; un rapporto naturalmente escluso di netto dalla versione italiana, che rispettando la chiusura mentale dei tempi causava un enorme sgarro all’economia narrativa della serie e soprattutto all’intento del regista.
Da quei tempi sono passati ormai 20 anni, e dire che la situazione è radicalmente cambiata sarebbe l’eufemismo di un eufemismo: né Mediaset né nessun altro dei principali canali televisivi italiani offrono spazio agli anime, relegati in numero ridicolo a reti specializzate quali K2 o Boing. Per quanto oggi nel paese del Sol Levante siano prodotte più di 200 serie televisive all’anno, è molto raro vedere trasposte serie non legate a brand già ampiamente conosciuti.
Con la costante migrazione dei giovani dagli schermi televisivi a quelli dei PC, sembra essere scomparsa la voglia di rischiare acquisendo titoli nuovi, anche a causa dei pregiudizi che le azioni del passato hanno creato nel pubblico. Qui si arriva al motivo di questo articolo: Boku no Hero Academia. La notizia della sua prossima trasmissione su Italia 2 ha decisamente acceso gli animi della community, totalmente diffidente nei riguardi del modus operandi dell’azienda a cui il doppiaggio è stato affidato: la sempreverde Merak Film.
Diffidenza e maldicenza sono una risposta produttiva?
Legittimo pensare che adattare un prodotto alla fascia pomeridiana (nel quale BHA sarà probabilmente inserita) comporti il cambiamento di alcune frasi dei personaggi, un colore diverso per il sangue ed altre modifiche. Tuttavia, siamo sicuri che un tentativo coraggioso come questo vada ripagato con tanta diffidenza, come se ci trovassimo dinanzi all’ennesima storpiatura di titolo e contenuto? Le recenti serie di Lupin, classico insormontabile, hanno ricevuto un trattamento esemplare: aldilà della discussa sigla realizzata da Moreno e Giorgio Vanni, sia Part IV che La donna chiamata Fujiko Mine (serie contraddistinta da una considerevole dose di nudità e violenza) sono state presentate praticamente scevre di qualsivoglia censura.
Certo si parla di una fascia oraria differente e di un titolo indubbiamente conosciuto al pubblico italiano, ma questo dimostra come ad oggi l’assenza di tanti fattori (Alessandra Valeri Manera come responsabile della programmazione per ragazzi, l’ingombrante presenza del MOIGE, la chiusura di 4Kids) e il naturale corso del tempo abbiano comportato anche un diverso modus operandi, forse ancora non completamente rispettoso dei materiali originali ma comunque maggiormente attento a un’opinione pubblica più irascibile che in passato.
Vedere il lato positivo
Come consumatori abbiamo diritto di usufruire di una serie televisiva nella sua forma originale, ma spesso dimentichiamo che così come esistono metodi che potrebbero farci arrabbiare, ce ne sono anche altri che causano rabbia in persone diverse da noi. Pensate che sentire Bakugo urlare “MERDA!” ogni tre per due non possa suscitare le ire di tutte le mamme preoccupate che il loro figlioletto, messo davanti alla tv dopo o durante il pranzo, possa replicare tali incresciosi atteggiamenti?
Ai nostri occhi potrà sembrare una sciocchezza, ma dobbiamo convivere con le preferenze di tutti gli altri esseri umani. Prima di dire che i metodi di Mediaset sembrano a dir poco esagerati, consideriamo che dopotutto queste paranoie sono basate soltanto su dei pregiudizi, per quanto legittimi possano essere: chi ha avuto la fortuna di vedere i primi episodi in anteprima durante l’evento del Rimini Comix, non è rimasto entusiasta per il risultato, ma neanche ha avuto modo di lamentarsi chissà quanto.
Le prestazioni dei doppiatori parrebbero più che accettabili, e il lavoro di adattamento non ha riservato brutte sorprese come invece in molti si aspettavano (e quasi speravano). Di conseguenza, perché ogni volta che qualcosa sembra poter muoversi per gli anime nel Bel Paese, la reazione complessiva della community è sempre negativa? Comprensibile la diffidenza, comprendo il peso che le brutte esperienze giocano sul nostro pensiero, ma mi è sempre stato difficile capire perché si è spesso prevenuti quando si va a toccare una passione comune. I lati positivi di una faccenda dovrebbero avere un peso, e non essere ignorati per partito preso ogniqualvolta si insinua il dubbio.
La passione cerca il riconoscimento che le spetta
My Hero Academia potrebbe presentare delle frasi diverse dall’originale, ma non tralasciamo il fatto che si tratta del primo anime di grande rilievo acquistato da una delle principali reti televisive nel giro di diversi anni a questa parte. Ciò dice tutto e niente, perché è impossibile conoscere il futuro, eppure rappresenta un’indicazione di come l’animazione giapponese ricopra un ruolo importante nella cultura adolescenziale contemporanea.
Tanto importante da spingere Mediaset a dedicare nuovamente uno spazio del proprio palinsesto a una tipologia di prodotto a lungo tralasciata. Per quanto possa sembrare comunque un evento di poco conto, per via della crescente perdita di popolarità che la televisione sta subendo da diversi anni, ricordatevi che gli anime in Italia hanno ancora uno spazio limitato e limitante. Non c’è una vera informazione specializzata (solo una manciata di siti web), non c’è una critica e, soprattutto, ancora troppe persone ignorano anche solo cosa voglia dire tale parola.
Possiamo davvero permettere alla censura o alla paura del doppiaggio di oscurare la voglia di vedere la propria passione riconosciuta come qualcosa di legittimo? Portare in televisione una serie già popolare come Boku Hero vuol dire renderla visibile a tutti, non solo a quella fetta di pubblico che popola attivamente il web e che già si interessa a prescindere alle serie animate. Con tutte le dovute differenze, in Giappone gli anime trovano ancora nei palinsesti televisivi il naturale luogo di origine: le censure esistono anche in madrepatria, i servizi di streaming stanno prendendo piede, ma per quanto si gridi un giorno si e l’altro pure che la televisione è morta, rimane il mezzo di diffusione popolare per eccellenza, perché chiunque può accedervi e comprenderne l’uso.
Verrà il giorno
Tutte le serie di cui il me bambino era appassionato 15 anni fa saranno state anche pesantemente censurate e stravolte, eppure questo non ha impedito che in me nascesse una tale passione da dirigere la mia intera vita verso di esse. Sono finiti i tempi degli stravolgimenti, di quei controversi cambi di nome che lasciano una forte sensazione di disagio. Deku non si chiamerà Giggino, la storia non cambierà nel bel mezzo di una saga e, almeno, Sio non doppierà nessuno dei personaggi. Probabilmente si tratta di una semplice speranza, ma più fondata di quanto lo siano tutti i timori scatenati dall’annuncio.
Tagliare e cucire una serie così popolare vorrebbe dire scavarsi da soli la tomba, e per quanto esista l’incompetenza è difficile non imparare dai propri fallimenti. I servizi di streaming (VVVVID in primis) hanno offerto un contributo fondamentale nel far sì che l’animazione giapponese potesse ottenere il riconoscimento adeguato da parte di tutto quel pubblico restio ad accettarne l’esistenza. Ora dobbiamo semplicemente far sì che anche i palinsesti televisivi vengano conquistati dall’impetuosa progressione delle serie animate nipponiche. Quando quel giorno arriverà, non dovremo più tremare di paura davanti allo spauracchio chiamato “censura”.
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