Oriente e occidente nei videogiochi, una sfida senza fine
Ogni buon videogiocatore riesce a distinguere i giochi che il mercato propone tramite i generi e le saghe di appartenenza. Tuttavia, non ci si sofferma mai abbastanza a pensare allo sviluppo, al pensiero e alle tecniche di imposizione che stanno dietro la produzione di ogni titolo destinato al mercato mondiale. I giocatori più accaniti si accorgono certamente della netta linea di demarcazione che separa le produzioni orientali da quelle occidentali: culture e strutture sociali di territori profondamente diversi si riflettono pesantemente anche sul mercato videoludico. In questa prima parte dell’editoriale andremo a parlare della storia che fa da sfondo alle diatribe videoludiche moderne, e successivamente concentreremo l’analisi sulle differenze di pensiero, di sviluppo e di mercato tra il Giappone e l’Occidente.
Con uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare che in oriente si produca un quantitativo spropositato di RPG e che in occidente siano preponderanti gli FPS, ma c’è molto di più. Molte produzioni sono entrate nella storia per la capacità di sapersi adattare al mercato e ai gusti delle persone, raggiungendo le case dei più pretenziosi in termini di offerta ludica, talvolta acquisendo e integrando elementi da produzioni ludicamente diverse. La storia ci insegna che il cammino dello sviluppo di videogiochi è spesso variabile, e senza eccezioni richiede adattamento e ripensamento dei concetti di fondo. Iniziamo il nostro percorso di analisi con il lato storico del mondo videoludico.
Giappone e videogiochi – una storia infinita
Partendo dagli anni ’80, il mercato dei videogiochi in Giappone ha subito una crescita esponenziale, portando i propri frutti in tutto il mondo a partire degli arcade, emblema del retrogaming ancora oggi. L’industria del videogioco in Giappone è figlia di un egemonia che riguarda la rivoluzione industriale sul fronte delle tecnologie, e con le tante aziende nel settore non poteva che emergere una certa predisposizione all’intrattenimento elettronico. Proprio negli anni ’70 – ’80, molte aziende divennero trainanti nel settore hi-tech, dando vita ad alcuni marchi storici.
Tra queste figura Taito, con i suoi cabinati che nel tempo sono divenuti un cult delle sale giochi. Le potenzialità di quegli anni vennero sfruttate per creare delle perle indissolubili, che hanno costellato le sale giochi con una moltitudine di formule ludiche. Questa è stata un’ottima occasione per esportare la propria immagine rinnovata nel mondo, complice il crollo temporaneo dell’industria videoludica occidentale, per lo più americana. Con il proprio collasso, essa ha lasciato campo libero all’importazione dei prodotti orientali, il più importante fra tutti è il Nintendo Entertainment System (Famicom in patria).
NES, un hardware per domarli
Quest’ultimo ha rivoluzionato di fatto il mercato dei videogiochi, imponendosi come console casalinga abbordabile da tutti. Da lì in poi, tutti gli altri produttori che si affacciarono sulla medesima industria – i più famosi: SEGA, Bandai, Namco, Taito e SNK – videro spianata la strada in tutto il mondo per i loro prodotti grazie al susseguirsi delle varie produzioni di console, che hanno fornito una copertura hardware per milioni di persone. I titoli leggendari prodotti dall’industria giapponese nel periodo idilliaco sono numerosi, partendo da Space Invaders per arrivare all’eterno Super Mario, che ancora oggi è una delle serie di maggior rilievo di Nintendo. Famosissimi anche Pac Man e Tetris, eterne forme di intrattenimento delle sale giochi di tutto il pianeta, riproposti in ogni modo durante i vari passaggi generazionali.
Evoluzione senza fine e conflitti interni
L’evoluzione tecnologica sembrava non conoscere fine nella terra del Sol Levante, e ciò ha portato molte altre aziende a gettarsi nella competizione nel settore dei videogiochi. Ne è un risultato SEGA, che con il Mega Drive, l’anti-Nintendo del 1985, si è conquistata una fetta dei cuori della gente portando Sonic nelle case di tutti, il famoso porcospino blu che ancora oggi è una delle icone mondiali del videogioco. Sempre in Giappone si è verificato il passaggio dei giochi da 32 bit a 64 bit e il passaggio dalla grafica 2D a quella 3D, favorendo lo sviluppo di tanti titoli immortali che perdurano ancora oggi.
The Legend of Zelda, ad esempio, si è consolidato nel tempo come colonna portante di una major e di un’industria intera, dopo 30 anni perfino capostipite del lancio di Nintendo Switch. Non si può escludere Super Mario, da sempre il punto cardine di Nintendo, per la sua capacità intrinseca di adattare la sua immagine ai tempi che cambiano. Spostandosi di un decennio più avanti, troviamo anche i Pokémon, impostisi come immagine dell’intrattenimento Giapponese nel mondo. Diversi altri sviluppatori nipponici si sono espressi in quegli anni, dando alla luce produzioni leggendarie, come Final Fantasy.
Da non dimenticare i celebri picchiaduro come Street Fighter di Capcom e Tekken di Namco. Anche SNK in quel periodo sviluppava Fatal Fury e Art of Fighting, che i giocatori di vecchia data ricorderanno senz’altro con affetto. Per il mondo calcistico era disponibile Winning Eleven, sviluppato da Konami e diventato poi il celebre PES in occidente. Quest’ultimo un eterno rivale con la concorrente americana Electronic Arts e il suo FIFA, in lotta perpetua per la contesa del trono sportivo con rilasci a cadenza annuale.
Una console per affrontare il mondo
Nel fermento degli anni ’90, dalla rottura di un accordo per un lettore ottico tra Sony e Nintendo, nasce PlayStation – come l’energia che si libera dalla scissione nucleare. La console si impose in breve tempo come nuova ambasciatrice della sua terra, accompagnata da icone immortali e da un unico senso di freschezza. Con PlayStation, Sony è riuscita a imporsi come publisher di carattere internazionale, unendo con armonia gli stili riuscendo a unire i videogiocatori di tutto il mondo sotto la buona stella del Gaming nelle sue tante sfaccettature.
PlayStation è stata quello che si potrebbe definire un cavallo di troia, capace di destare curiosità verso le formule strettamente giapponesi attraverso un appeal neutro, adatto a tutti. Col supporto di PlayStation e del nuovo hardware Nintendo, i seguiti di saghe storiche come le sopracitate hanno fatto sì che le fanbase si espandessero in più aree del globo. Il che ha spinto le rispettive aziende a continuare la produzione di capitoli legati ai brand consolidati, investendo nell’ottica dei franchise con ottimi risultati.
Ovviamente le rivalità nel tempo non sono mancate, anzi, gli scontri del mondo videoludico non si sono mai fermati. In tempi recenti, la nascita della prima Xbox è stata il chiaro segno di sfida verso PlayStation e Nintendo. Quella tra le prime due è forse il più grande e famoso scontro tra Oriente e Occidente videoludico, declinata in battaglie mediatiche e vere e proprie frecciatine sui social.
La crisi occidentale
Nel passato occidentale, Atari e il suo geniale quanto semplice Pong hanno scritto una parte della storia ludica degli USA. In quegli anni, vediamo gli Stati Uniti letteralmente costellati di Atari 2600, ma con l’avvento della crisi del 1983 si è verificata la bancarotta di molte aziende produttrici di computer e console nel territorio nordamericano. Le cause di questo evento, anche considerato come termine della seconda generazione dei videogiochi, furono molteplici. Tra queste, una scarsa qualità dei giochi lanciati sul mercato, un’annata in cui si presentavano sul mercato molteplici console che disperdevano la scelta dei consumatori, e la pubblicità dei personal computer poco costosi nel culmine del loro boom metteva in cattiva luce la console di turno. A seguito della crisi, molte aziende abbandonarono il mercato dei videogiochi, e Activision rimase una delle poche superstiti.
La ripresa che parte dal Giappone
Nel 1987 avveniva la ripresa del mercato videoludico in uno scenario dove il dominio del mercato delle console si era spostato dagli Stati Uniti al Giappone. Non c’è stato modo di frenare l’ascesa del Sol Levante, in cui Nintendo vinceva su tutti i fronti attuando anche una politica di conversione dei giochi da sala per le proprie console casalinghe, penetrando così nel mercato nordamericano come una freccia con il suo NES. Atari fallì completamente con la sua ultima creatura, Atari Jaguar, e chiuse la sua produzione di console nel 1996.
Il mercato occidentale ha investito molto nei personal computer già dagli albori, e con il mitico Commodore 64 – la macchina più venduta nella storia dell’informatica – diede un nuovo significato al gioco su personal computer. Tuttavia, anche in questo contesto non mancarono le faide. Esso andava in conflitto con lo ZX Spectrum, ma questa disputa non era ai livelli della diatriba tra NES e Master System. Solo negli anni 2000 gli USA sono tornati sulla scena videoludica con Xbox, oggi diretta concorrente dell’ammiraglia Sony – attualmente dal volto molto occidentalizzato.
In conclusione
Per concludere, il Giappone è molto spesso sinonimo di videogioco ed è fautore di una spinta creativa molto importante, la quale è servita all’industria videoludica per arrivare fin dove è oggi. In tal senso possiamo definirla come uno dei settori più importanti per quanto riguarda l’apertura del paese stesso verso l’Occidente. La diatriba eterna è destinata a continuare e nel mirino ci siamo prima di tutto noi videogiocatori, bombardati da ambe le parti con esperienze peculiari. Successivamente, andremo ad analizzare il comportamento di publisher e case di sviluppo sul mercato, nonché la loro visione di esso. La storia è fondamentale per comprendere a 360 gradi il mercato videoludico odierno, che oggi più che mai è ampio e variegato, diretto verso un’offerta d’intrattenimento che vuole arrivare al maggior numero di persone, siano esse casual o hardcore.
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