L’esposizione a post razzisti rende razzisti?
Questa è la domanda che un team di ricercatori dell’Università di Warwick si è posto dopo aver notato l’esplosione di fake news degli ultimi anni. Lo sviluppo della tematica è racchiuso in una ricerca che prende in esame 3.335 attacchi nei confronti dei rifugiati avvenuti in Germania negli ultimi due anni e trova una corrispondenza tra i crimini razzisti e un maggiore utilizzo dei social media, a causa della maggiore esposizione a contenuti che incitano all’odio razziale. Nelle zone più “a rischio” questi crimini aumentano fino al 50%.
Guardando il lato positivo, sapere dove si concentra l’odio online ci indica anche in quali zone del Paese è presente e può addirittura predire il verificarsi di crimini violenti contro i rifugiati. Lo conferma la situazione opposta: nei momenti in cui la popolazione tedesca è rimasta senza Internet, gli episodi di razzismo sono crollati.
In particolare, sotto la lente d’ingrandimento c’è il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD), molto attivo sui social. Ma anche in Italia la situazione è analoga.
Facebook non si espone
Che i social media influenzino il nostro pensiero non è una novità, ma pare possano essere anche uno strumento di propaganda razzista.
Anche il The New York Times ha indagato sull’ascendente che Facebook ha su questi comuni tedeschi, sollevando una serie di questioni interessanti sul funzionamento dell’algoritmo di Facebook, spesso considerato troppo lascivo e orientato allo “sharing”. Perfetti quindi i post d’odio, un sentimento semplice e che tende a espandersi a macchia d’olio, arrivando a contagiare anche gli utenti con opinioni diverse.
Gli autori dell’articolo hanno contattato Facebook per chiedere un commento sui risultati, ma un portavoce si limita a dire:
“Ciò che è consentito su Facebook si è evoluto nel tempo e continua a cambiare man mano che apprendiamo dagli esperti del settore”.
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