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Alcuni esperti contestano la scelta dell’OMS sulla dipendenza da videogiochi

Alcuni esperti contestano la scelta dell’OMS di includere la dipendenza da videogiochi tra le malattie mentali

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Vi abbiamo recentemente parlato di come l’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, abbia deciso di includere nel novero delle “malattie mentali” la dipendenza da videogiochi. Trovate il nostro articolo qui. Già da tempo infatti si discuteva sull’opportunità di aggiungere questo disturbo alla lista, con tutte le conseguenze che ne derivano. Alla fine, nell’undicesima versione della Classificazione Internazionale delle Malattie, la “gaming addiction” ha fatto capolino. La decisione forse non sorprende molto, vista la crescente preoccupazione pubblica in merito al fenomeno dell’abuso della tecnologia. Non a caso, di recente Apple e Google hanno presentato i loro strumenti, come il “parental control”, atti a controllare l’uso dei dispositivi tecnologici, tra cui anche i videogames, in relazione specialmente al pubblico più giovane.

Tuttavia, sebbene molti riconoscano che la dipendenza da videogiochi è un problema degno di attenzione, non tutti sono d’accordo con la scelta dell’OMS. Tra i più strenui opponenti dell’inclusione nella lista troviamo Nancy Petry, psicologa dell’Università del Connecticut. Petry è considerata un’esperta in materia, poiché nel 2013 ha presieduto la commissione dell’Associazione Psichiatrica Americana che si è occupata di studiare il problema della “gaming addiction”, per il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disordini Mentali. Al tempo, la decisione, sostenuta da Petry, è stata quella di classificare la dipendenza come “problema da studiare ulteriormente”, senza quindi arrivare ad una netta classificazione. Oggi Petry dirige il primo studio sulla dipendenza da videogames finanziato dall’Istituto Nazionale di Sanità, e non ha ancora cambiato idea.

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Un fenomeno tutto ancora da scoprire

La dottoressa Petry sostiene infatti che il problema non è tanto capire se le persone possano sviluppare una relazione malsana con i videogiochi. È indubbio che le persone possano ossessionarsi con un videogioco a tal punto da non poterne fare a meno, e ne abbiamo esempi tutti i giorni. Che questo poi possa nuocere alla salute è altrettanto indubbio; ciò ha portato molti studiosi, tra cui la stessa Petry, a riconoscere il problema. La questione fondamentale è se la ricerca fatta finora sia sufficientemente estesa per poter fondare l’inclusione della dipendenza nell’elenco dell’OMS. La Classificazione Internazionale non ha infatti categorie: o un disturbo è una malattia, o non lo è.

La dottoressa Petry, come altri esperti, pensano che gli studi fatti fino a questo momento siano, a questo scopo, insufficienti. Sebbene indicativi del problema, non sono in grado di individuare se i videogiochi causino effettivamente problemi psicologici o se siano meramente a loro associati. Questo perché il materiale raccolto è ancora lacunoso e statisticamente poco attendibile, in quanto basato su campioni di popolazione troppo ristretti. Inoltre, le scale utilizzate per misurare i dati raccolti sono eccessivamente eterogenee; pertanto, i risultati sono troppo divergenti. Basando su simili dati la propria decisione, sostengono questi studiosi, l’OMS rischia di stigmatizzare un comportamento (videogiocare) che non è di per sé dannoso, ma può persino essere salutare.

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I medici, peraltro, non hanno spesso gli strumenti per analizzare un simile disturbo, e rischierebbero di fare diagnosi errate, affidandosi alla classificazione affrettata dell’OMS. Per questi motivi, si renderebbe necessario un ripensamento della World Health Organization, che dovrebbe attendere studi più strutturati e completi per poter prendere consapevolmente una simile decisione.

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