Sai davvero cosa sono Remastered, Remake e Reboot?
Remastered, remake e reboot sono concetti molto diversi tra loro ed un uso incosciente può creare confusione. Negli ultimi anni, suddetti termini sono stati usati in modo improprio da un’ampia fascia d’utenza, disinformata da campagne marketing a loro volta fuorvianti sulla corretta applicazione. Sentiamo la forte pressione morale di dover fare chiarezza su cosa siano effettivamente remastered, remake e reboot, i quali ricoprono un’importanza fondamentale nel mondo videoludico attuale. Partiamo da un presupposto necessario: i tre termini indicano tecniche di riproposizione di un prodotto precedentemente lavorato.
Remastered
Forse il termine più abusato dell’Ottava Generazione videoludica. La remastered, letteralmente rimasterizzazione, consiste nella riproposizione di un’opera con la sua formula ludica pressoché invariata. Gli aspetti che vengono rimaneggiati sono tendenzialmente appartenenti alla sfera tecnica. Il prodotto in questione viene dunque adattato ad un contesto più sviluppato, in cui si ha la possibilità di raggiungere maggior qualità audiovisiva e prestazionale. Gli elementi che vengono toccati, eccezion fatta dei prodotti più improvvisati, possono essere gli effetti in post processing, i filtri antialiasing, i filtri texture, nonché la qualità stessa delle texture.
Talvolta si assiste ad un aumento della densità poligonale dei modelli e ad un rimaneggiamento del sistema di illuminazione, nonché della qualità delle ombre. Nelle remastered più curate, generalmente di prodotti che arrancavano sul loro hardware di partenza, si verifica l’aumento del frame rate verso valori più alti, nonché della risoluzione d’immagine. Questi sono solo alcuni esempi, utili a far capire che una rimasterizzazione nasce idealmente con l’obiettivo di migliorare ciò che concerne l’appeal tecnico di un gioco, sfruttando appieno la potenza delle piattaforme più attuali.
La remastered dunque porta su console di nuova generazione titoli realizzati in precedenza, che risultano più puliti, fluidi e piacevoli alla vista, ma che, salvo rare eccezioni, non vengono modificati in nessuna delle loro componenti ludiche fondamentali. Come esempio si può portare Dark Souls: Remastered, riproposizione dell’omonimo gioco di Hidetaka Miyazaki, il quale soffriva di vistosi problemi tecnici sulle console di Settima Generazione.
Remake
Per remake si intende invece un rifacimento, una nuova versione basata, in misure differenti di caso in caso, sul titolo originale. Nel caso di un remake, può verificarsi una ripresa degli assets originali, che vengono portati alla modernità. Tuttavia, può avvenire anche la ricostruzione totale di questi, effettuata da zero seguendo pedissequamente la struttura originale del titolo. Dunque, avviene una riscrittura totale del comparto tecnico di un’opera, dai modelli poligonali alle texture, dall’audio al sistema di controllo e così via. In questo caso, la formula ludica può subire variazioni, pur mantenendosi nel solco tracciato dall’opera di partenza.
Talvolta vengono aggiunte delle novità interessanti all’offerta, che tendenzialmente non vanno ad influire sul comparto narrativo del gioco. Abbiamo dunque un prodotto interamente rinnovato nel suo comparto tecnico, che però non tradisce l’opera di partenza. Quest’ultima viene resa nuovamente fruibile da tutti, talvolta con l’aggiunta di qualche chicca che non snatura in alcun modo il prodotto originale, e che tende anzi a migliorarlo e ad adattarlo agli standard in vigore. Tra i remake più famosi troviamo la Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy e la Spyro: Reignited Trilogy. Non fatevi ingannare dalle diciture riportate sulle confezioni, non sono remastered, ma bensì remake. Talvolta, la pratica del remake può contaminarsi con quella del reboot, che vediamo poco più avanti.
Reboot
Quando parliamo di Reboot invece, ci riferiamo ad un nuovo inizio per un brand di riferimento, un rilancio di un prodotto passato, rielaborato in chiave differente. Di invariato rimane tendenzialmente il titolo dell’opera in questione, nonché le feature più iconiche. Il concetto di “icona” è centrale quando si parla di reboot. La riproposizione si basa sul cambio di paradigma a livello ludico ed estetico, prendendo come cardine i tratti fissi che hanno definito un brand in passato. Così facendo, si mantiene l’appeal di fondo di un prodotto, che può derivare da particolari aspetti contenutistici o di character design, adeguando un’opera ai costrutti del tempo in cui viene riproposta. Si viene quindi a creare, salvo rare eccezioni, un esperienza di gioco nuova, basata sull’immagine del titolo passato. Quest’ultima mira a ringiovanire un franchise, tracciando una linea sulla sabbia nella sua storia editoriale, sfruttando l’iconicità storica del medesimo.
Mirror’s Edge è particolarmente esplicativo
Questo è avvenuto, ad esempio, con il brand di Mirror’s Edge. Il gioco originale, consacrato dal tempo come un cult dei primi 2000, introduceva un nuovo modo di intendere il movimento nello spazio. Nel 2016, DICE ha rilanciato il brand, mai affermatosi a livello mediatico, con Mirror’s Edge Catalyst. Quest’ultimo mantiene i tratti caratteriali dell’opera di partenza, quali il contrasto tra colori vivaci e fondo neutro o il forte senso di libertà conferito dal contesto, inserendo il tutto in un setting ex novo.
Dall’ambientazione vicina alla nostra realtà, si passa ad una visione futuristica della società, nella quale sono inseriti personaggi che fanno eco a quelli presenti nel Mirror’s Edge del 2008. Il reboot più attuale che ci viene in mente è quello di Ratchet & Clank per PlayStation 4, accompagnato addirittura da una versione filmica, il quale è uno dei prodotti più esemplificativi in questo ambito. A proposito, avete già letto il nostro speciale sui RYNO più forti della serie?
Tante nozioni da tenere sempre a mente
Sono tanti i concetti utili ad inquadrare bene le opere che passano nelle nostre librerie fisiche e digitali, talvolta intrecciati tra loro e difficilmente scindibili. Padroneggiarli è l’unico modo per ridurre la propagazione dell’errore, fuori e dentro i social network. Dai semplici parametri tecnici a secondarie forme di riproposizione, aggiungiamo i puntini sulle “i” al discorso più ampio.
Porting
La parola porting indica, nell’ambito dello sviluppo di opere interattive, un semplice processo di trasposizione di un prodotto da una piattaforma all’altra, senza alcun tipo di modifiche all’apparato ludico. Si parla quindi un semplice adattamento di un prodotto su altre piattaforme, con benefici o malefici di un hardware differente. Un esempio di porting può essere quello di un videogioco edito in principio esclusivamente per una determinata piattaforma, il quale viene adattato in un secondo momento per altre piattaforme. Esempi pratici sono gli annunciati porting di Hellblade: Senua’s Sacrifice e Crash Bandicoot NSane Trilogy per Xbox One, o l’avvenuta trasposizione di diversi giochi per Wii U sulla nuova ibrida Nintendo.
Il caso eccezionale della retrocompatibilità
La retrocompatibilità non è da non confondere col porting nonostante la somiglianza concettuale. Essa permette l’esecuzione tramite software o tramite hardware di un titolo su una macchina di nuova generazione, nonostante quest’ultimo sia nato appositamente per essere eseguito su una macchina appartenente ad una generazione precedente. Fatta eccezione dell’ambiente PC, esempi di retrocompatibilità si hanno all’interno di hardware della stessa azienda. In Ottava Generazione, l’unico prodotto che permette la retrocompatibilità con i suoi predecessori è Xbox One, la quale permette di giocare ad una libreria selezionata di giochi per Xbox 360 ed Xbox.
Lag
“Ho perso perché ho laggato”, quante volte l’avete sentito o l’avete detto? Con molta probabilità, con quella frase mentite solo a voi stessi. Potrebbe esserci un fondo di verità, dunque vogliamo assicurarci che suddetta frase, nonché imprecazioni che da essa derivano, non venga usata a sproposito. La parola lag significa “ritardo” e viene usata nell’ambito del gaming online per indicare un gap (differenza) di latenza (intervallo di tempo tra l’arrivo dell’input al sistema che lo riceve e la restituzione dell’output). Si utilizza quindi per indicare con accezione negativa il tempo di scambio di dati fra due sistemi, il quale avviene in tempi più lunghi rispetto a quelli utili a garantire un’esperienza ottimale e pressoché simultanea per ogni giocatore.
Calo di frame
“Ma quanto scatta! I frame sono pessimi”, parole udite più e più volte, in ogni ambiente e riguardo ogni piattaforma. Quando utilizziamo il termine “frame” come sineddoche, ci si riferisce al concetto più ampio di frame rate, ovvero al numero di fotogrammi per unità di tempo che compongono un video. La frequenza viene misurata in Hertz nelle diciture dei monitor a scansione progressiva, oppure viene espressa in termini di “fotogrammi al secondo”, i cosiddetti FPS (frames per second).
Quando ci troviamo di fronte ai famosi “cali di frame”, si ha una situazione in cui la fluidità dell’immagine è compromessa. La godibilità è più o meno alterata, in base all’entità della diminuzione. Quest’ultima può essere dovuto a numerosi fattori: non solo alla mera potenza di calcolo, ma anche all’interferenza di programmi secondari, che siano in background o meno, o ancora alle risorse in remoto qualora si parli di cloud gaming.
Considerazioni finali
Questo breve sguardo ai corretti significati di termini ricorrenti in ambito videoludico, ha il preciso intento di mettere in circolo utenti più consapevoli. Tenete d’occhio le diciture sopra le confezioni e nei banner pubblicitari, perché spesso e volentieri etichettano i prodotti in modi fuorvianti. Da dove sia partito il circolo vizioso, se dai publisher o dagli utenti, è difficile capirlo. Perciò, ci siamo limitati a circoscrivere il campo di utilizzo di precise definizioni.
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