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“Ci serve l’impronta del morto per sbloccare lo smartphone”: polizia irrompe al funerale

La giustizia non si ferma proprio davanti a nulla. Nemmeno alla morte: due agenti in Florida si sono presentati al funerale di un indiziato e hanno provato a sbloccare il suo smartphone con le dita. Non hanno infranto alcuna legge, eppure il gesto ha suscitato diverse polemiche: è giusto invadere la privacy di un morto?

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Un controllo finito male

Florida. Linus Philip, 28 anni, incappa in un posto di blocco della polizia ed è costretto a fermarsi per un semplice controllo su strada. La vicenda prende una brutta piega quando l’uomo, dopo essere stato trovato con della marijuana a bordo, tenta la fuga trascinandosi dietro uno degli agenti che ancora sta rovistando sul retro dell’auto. A quel punto, l’unico modo per frenare la corsa è sparare contro il guidatore, e purtroppo alcuni dei colpi inferti si rivelano fatali.

Si inizia a indagare sul caso, e salta fuori una possibile connessione con un’altra inchiesta che riguarda il traffico di droga. Si rivela dunque necessario visionare il contenuto dello smartphone della vittima per raccogliere altri indizi. È così che, a un mese dall’accaduto, due agenti in borghese si presentano nella camera ardente per sbloccare il telefono utilizzando le sue dita.

 

La reazione dei parenti

Questa intrusione naturalmente non ha fatto piacere ai parenti del defunto, che si sono opposti e hanno impedito agli agenti di effettuare l’operazione. In un’intervista a un giornale locale, la fidanzata Victoria ha definito il comportamento «Irrispettoso, mi sono sentita violata». Anche i familiari e gli amici hanno condannato il gesto, sostenendo che la polizia abbia mancato loro di rispetto violando il funerale di un caro.

 

Tra etica e legalità

L’episodio non è passato inosservato, ha anzi riportato alla luce una questione di natura etica: è giusto agire su qualcuno che non può opporsi?

Secondo la legge americana, non è necessario un mandato per effettuare questo tipo di operazione, poiché le norme sulla privacy terminano con la morte di un soggetto. Il quarto emendamento della costituzione, infatti, difende l’individuo da perquisizioni e confische, ma è una norma che vale per i vivi: una volta morti, in effetti, non si ha più alcuna proprietà. Senza alcuna tutela giuridica, dunque, la decisione spetta ai tribunali, che solitamente non sono molto comprensivi nei confronti dei defunti.

 

Ci troviamo, insomma, davanti a un altro caso in cui la tecnologia supera la legge che avrebbe lo scopo di regolamentarla, ricordandoci che non sempre ciò che è legale è anche etico.

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