Ehilà!
Io sono Italo, il compare di marachelle di quello lì che l’altra volta mi ha menzionato in un articolo un paio di giorni fa. Non avete presente? No? Allora leggete qui (ma dopo, che io sono ben più interessante).
Ci ho pensato e ripensato e, alla fine della fiera, il modo più sensato per cominciare una sana e duratura collaborazione con un sito molto esposto è una bella polemica.
Si sa ormai che più il tempo va avanti, più la popolazione mondiale volge lo sguardo indietro; una tendenza che lo strapotere comunicativo di internet ha amplificato e fatto emergere sempre di più, a svantaggio di un presente su cui ci si concentra sempre meno.
Nostalgia canaglia direbbe qualcuno
Cinema e suoi derivati sono uno degli obiettivi preferiti della nostalgia, complici anche le numerose operazioni di reboot che svariati film e serie cinematografiche stanno avendo, e gira che ti rigira ogni tre per due esce fuori il discorso sulla qualità dei cartoni animati di oggi.
Devilman Crybaby ne è stato fonte rigogliosa per tutto l’inizio di questo 2018, e qualsiasi social per due intere settimane è sembrato un fiume in piena costituito di commenti sulla serie.
E’ chiaro a tutti che ormai le numerose serie animate giapponesi (con Your Name quale rappresentante maximo della sezione cinematografica) e i sempre più remunerativi lungometraggi Disney e Pixar abbiano portato prepotentemente l’animazione ad acquisire uno status quo importante all’interno del mondo dell’intrattenimento e della comunicazione, e in questo ambiente di costante discussione dell’argomento esce quest’articolo su uno dei blog di Huffington Post, quello di Omar Kamal, più di due mesi fa (io sono infatti famoso per il mio impeccabile ritardo nel percepire il tempo).
Nessuna critica da muovere alla forma o ad alcuni dei concetti espressi: è più che giusto che sia il genitore a fungere da esempio, io ho iniziato a leggere libri e fumetti perché vedevo mio padre fare altrettanto (lui, però, solo Magico Vento), e gli sarò sempre molto grato perché è una delle cose che più amo fare al mondo, perché mi ha spinto a conoscere.
Ed è in questo che consiste il problema dell’articolo, nella conoscenza; attenzione, non sto scadendo in frecciatine puerili né sto tacciando l’autore del suddetto articolo di ignoranza. E’ più che altro superficialità, applicata ad una questione in realtà tremendamente complessa.
Ai miei tempi i cartoni erano piu’ buoni, come le merendine
Anzitutto: chi decide che la stragrande maggioranza dei cartoni animati (includendo dunque qualsiasi nazionalità) è per lo più demenziale? “Risposta semplice”, mi si dirà, “quei quattro lo sono, e anche molti altri presenti sui tanti canali televisivi che trasmettono cartoni”; togliendo che è bene non far vedere Regular Show ai propri bambini perché non è esattamente una serie per bambini (e che Teen Titans è una cosa, Teen Titans Go un’altra), certe considerazioni, tanto estese, non si possono fare con il limite della propria percezione.
Nell’84 c’erano poche reti televisive, ma anche un buon numero di serie importate, che venivano però spesso acquistate anni dopo l’effettiva messa in onda, o replicate; è il caso di Tiger Mask (’69), Lady Oscar (’79), ma non di Ken perché quello in Italia arrivò nell’87.
All’epoca l’offerta giapponese era ancora bassa (parliamo di 10 o massimo 20 serie all’anno) Dragon Ball aveva appena cominciato il suo percorso da manga su rivista, cresceva il filone dei mecha spronato dal postumo successo di Gundam e sapete in cosa consisteva il resto della produzione occidentale? Gli ennesimi remake/spin-off dei Flinstones e di Scooby-Doo, i nuovi (o vecchi) episodi di Tom &Jerry, decine di serie Hanna-Barbera, dio solo sa quante repliche dei corti dei Looney Tunes che sono continuate fino all’infanzia di mia sorella, e così via, a costituire un parterre di tonnellate di serie comiche spesso tendenti al demenziale.
La qualità non è realmente scesa (aldilà del fatto che di qualità effettivamente non si parla, ma solo di una differenza di genere) a, siamo noi ad idealizzare inconsciamente (infatti l’articolo riporta espressamente che le considerazioni non sono espresse per impeto nostalgico) il ricordo dei bei tempi andati selezionando solo ciò da cui venivamo più colpiti, facendo però due pesi e due misure anche per quelli: “era difficile imbattersi in cartoni animati in cui ogni puntata bastava a sé stessa” scrive l’autore dell’articolo, dimenticandosi che Tiger Mask e Ken il guerriero, due dei suoi esempi, avevano sì una trama di fondo, ma spessa come un foglio di carta velina, finendo per adottare la classica formula del monster of the week (e anche che cartoni per bambini, esattamente, non erano).
Uno sguardo alla realtà
Piuttosto che concludere immediatamente la questione con un giudizio qualitativo perentorio e assoluto, sarebbe stato giusto e corretto guardarsi intorno, chiarire la propria percezione delle cose e constatare gli effettivi cambiamenti di questo settore: il Giappone ora produce circa 200 serie animate all’anno e i network americani cercano di tenere il passo sì affidandosi molto a quel tipo di serie descritto nell’articolo, ma anche proponendo varietà alle stesse.
Proverò a fare il nome di quattro (+1) serie piuttosto recenti e reperibili che oltre a divertire si propongono anche di insegnare:
Legend Quest
Serie messicana prodotta per Netflix sulla base di una trilogia cinematografica di successo in Messico, è la storia del dodicenne Leo, costretto a vagare per il mondo con i fantasmi Teodora, Don Andres e il proprio alebrije (animale totemico messicano) a seguito della distruzione della sua cittadina da parte di creature mostruose. L’obiettivo di Legend Quest è anzitutto raccontare una storia di responsabilità, coraggio e maturazione, quella del giovanissimo Leo che viene caricato di un peso davvero gravoso; una comicità abbastanza semplice ma efficace alleggerisce l’atmosfera a tratti cupa (ma utile ad un bambino, in quanto anche foriera di molti insegnamenti morali) e una forte attenzione agli elementi folkloristici delle varie culture visitate dal protagonista e dai suoi amici fornisce inestimabili lezioni sul patrimonio umano di ognuna di esse. Ogni luogo ha la propria leggenda personale, ed attorno ad essa gira un mondo interessante quanto spaventoso; una serie davvero molto bella, mai banale nello sviluppo e ideale per trasmettere qualcosa ai bambini.
Steven Universe
Serie di Cartoon Network con già qualche annetto alle spalle, gira attorno al panciuto Steven e alle Crystal Gem, alieni umanoidi che si ergono a protezione della terra. Per quanto gran parte della prima stagione sia composta da puntate sostanzialmente autoconclusive rette da un singolo filo di trama, SU è una serie a ragione molto amata dalla community LGBTQ (e dalle ragazze su tumblr e deviantart) perché molte di esse, piuttosto che fare affidamento su battute divertenti, cercano di discutere di valori positivi quali l’universalità dell’amore, l’ìmportanza della famiglia (da chiunque essa sia composta) o la profondità dell’amicizia.
E quando viene introdotta la “trama”, le cose si fanno ancora più interessanti.
Over The Garden Wall
Miniserie diventata famosa in Italia perché Sio doppia i protagonisti, e se vogliamo anche la storia di due fratelli, Wirt e Greg, che si perdono in una strana foresta e cercano di ritornare a casa. Per dei bambini, una storia sull’importanza del rapporto che c’è tra fratelli può essere davvero fondamentale, specialmente quando così ben realizzata. Wirt e Greg sono l’uno il contrario dell’altro: il primo sempre insicuro, indeciso e timoroso, il secondo contraddistinto dall’impulsività e dalla noncuranza dell’infanzia; attraverso un sentito confronto, Over The Garden Wall racconta tramite un viaggio fatto di splendidi sfondi, ambientazioni suggestive e momenti di forte empatia una storia attuale e di grande impatto.
Duck Tales
L’originale uscì nell’87 e quindi il confronto ci sta. Dopo essersi vestiti con un’estetica molto moderna, Paperone e i suoi nipoti sono tornati sul piccolo schermo con l’ansia di tutti quelli cresciuti a pane e Jet McQuack, ricevendo una buona accoglienza perché, in fondo, sono sempre gli stessi di un tempo. Avventure di stampo Barksiano, ci sono; Paperone sempre burbero, tirchio, ma col cuore d’oro zecchino, c’è; una presenza maggiore di Paperino, c’è; la magia delle classiche storie di paperi Disney, c’è. Devo aggiungere altro?
Bonus Point: Gravity Falls
Il +1 è rappresentato da Gravity Falls perché non credo lo diano più in televisione e perché solo ora in America sta per uscire l’edizione homevideo, quindi propriamente facile da reperire non è (a meno che non vogliate ricorrere alla pirateria ed è meglio di no). In ogni caso si tratta di una serie capace di funzionare a più livelli tramite una storia interessante e articolata, personaggi che col passare degli episodi diventano sempre più vivi ed empatici e tanto, tanto divertimento.
Stiamo una favola
Non credo di poter dire altro, finirei solo per ripetermi e cristallizzare la discussione. Queste 5 serie non sono che una piccola parte di tutte quelle ottime produzioni che ogni giorno fanno la loro apparizione sul piccolo schermo o sul catalogo di una qualche piattaforma streaming; se non ci accorgiamo della loro esistenza non vuol dire che non esistano e che il panorama dei cartoni animati non sia rigoglioso, vasto e ricco come un tempo non era.
Un’ultima cosa prima di chiudere: no, non sto dicendo che i cartoni di oggi sono meglio, credo solo che la situazione per chi guarda cartoni animati oggi sia migliore (non per chi li fa, ma è un altro discorso) e che i bambini abbiano a loro disposizione anche più serie valevoli di quante se ne aveva un tempo perché per forza di cose se ne fanno molte di più; l’unico vero problema è che essendosi alzata la produttività, anche le serie qualitativamente più scarse sono aumentate rispetto a prima, balzando molto di più all’occhio perché si sa che l’essere umano prima percepisce gli aspetti negativi e poi quelli positivi.
Per il resto, stiamo una favola.
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