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Il ragazzo invisibile seconda generazione: la nuova generazione del cinema italiano.

 

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Quella del titolo è una speranza.

Speranza che ci hanno dato pellicole come Lo chiamavano Jeeg Robot e, per l’appunto, il primo Il ragazzo invisibile.

Come ogni buon Cinecomic che si rispetti ecco il primo sequel, che ci lascia presagire un progetto a lungo termine per il genere in Italia.

Già con il capitolo precedente abbiamo assistito al primo passo incerto ma audace per il Cinecomic made in Italy, ricevendo la fiducia e l’acclamazione di quasi tutta la nazione. Con Lo chiamavano Jeeg Robot, invece, è divenuta chiara la sicurezza di poter sfornare film di qualità e di successo nel genere (la pellicola ha infatti convinto non solo l’Italia, ma anche l’oltre oceano).

E sulla scia di questa certezza, è stato prodotto Il ragazzo invisibile: seconda generazione.

Alcuni anni dopo le vicende del primo capitolo, troviamo un Michele Silenzi (Ludovico Girardello) che, in seguito alla perdita della madre adottiva (Valeria Golino), trova rifugio in uno dei luoghi più sicuri di ogni adolescente: l’introversione. Senza più una madre-guida, la vita di Michele (amici, ragazza, scuola e vita sociale) sta andando a rotoli, fino a quando non scopre che la madre naturale e la sorella sono ancora in vita, lo stanno cercando e, dulcis in fundo, sono anche loro Speciali.

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Il film nel suo primo atto affronta, in maniera basilare e didattica ma funzionale, i turbamenti che albergano nella mente di un Michele in piena adolescenza, quasi facendogli dimenticare il suo dono e le imprese che ha compiuto nel primo episodio. Questa strategia di caratterizzazione del conflitto interiore del protagonista è molto apprezzabile, visto che si parla appunto di un adolescente e quindi, di un egoista. Il nemico principale del nostro eroe è infatti il suo stesso conflitto: adolescente-egoista vs eroe-altruista.

Purtroppo però non tutto lo svolgersi del film è rose e fiori, difatti la sceneggiatura (Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo) in alcuni punti pecca in originalità, scivolando nei più classici clichè e lasciando il pubblico affamato di sorprese.

Pubblico che inoltre, purtroppo, resterà perplesso da un terzo atto e da un finale troppo frettolosi rispetto alle promesse fatte durante l’ora e mezza precedente.

Ad aiutare, però, abbiamo la regia-garanzia del premio Oscar Gabriele Salvatores che, senza arrampicarsi in artifici registici introspettivi e attenendosi quindi al genere, dà uno segno di qualità alla pellicola.

Una personale menzione al Cast, che si è esibito in una recitazione sincera e convincente, senza costruzioni, come per il reparto degli effetti visivi, che condisce il Cinecomic italiano con un tono da alto budget.

In conclusione Il ragazzo invisibile: seconda generazione è il terzo, umile, buon passo verso una rivoluzione del genere nel cinema italiano, che si spera possa quindi acquisire slancio in qualità e originalità, raggiungendo gli occhi e ai cuori di tutte le generazioni.

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